I 25 album più belli del 2020

25

Dogleg
Melee

Giovani e incazzati, ma con le idee chiare. I Dogleg ci hanno stupito con uno degli esordi più solidi dell’anno, e i motivi sono molteplici: i pezzi tiratissimi che non lasciano un momento di respiro, le melodie da singalong sempre presenti anche quando urlate a squarciagola, tutto fuso in brani che bilanciano alla grande rabbia e sentimento. Nell’anno più difficile, i Dogleg hanno pubblicato un esordio che ha un solo difetto: non aver potuto ancora essere suonato dal vivo.
24

Grimes
Miss Anthropocene

Un album come evocazione: questo è stato Miss Anthropocene, il disco attraverso cui Grimes ha evocato un demone musicale per gridare la sua voglia di rivalsa nei confronti di chi, negli ultimi anni, ha seppellito il suo talento musicale per trasformarla, invece, in una protagonista del gossip internazionale, per la sua relazione con Elon Musk. Miss Anthropocene è un demone psichedelico che percorre strade lunghissime e insolite, si muove dall’EDM al country-pop, ha un immaginario estetico fatto di manga futuristici e divinità greco-romane. È un album multiforme e privo di identità, due caratteristiche che raccontano al meglio la musica di Grimes – e che solo per lei valgono come pregi.
23

Yaeji
WHAT WE DREW 우리가 그려왔

Attesa alla prima prova sulla lunga distanza dopo due EP eccezionali, Yaeji non delude le aspettative. “WHAT WE DREW 우리가 그려왔” è un mixtape che non solo conferma le doti della produttrice e dj coreana, ma sorprende per la sua capacità di uscire dalla comfort zone. Alle bombe techno si aggiungono inaspettate atmosfere dreamy, su cui si stendono sia il cantanto semi-hip hop di Yaeji e ospiti, sia i beat con cui far tremare i club di tutto il mondo.
22

Fleet Foxes
Shore

“Shore” non è sicuramente il disco che ci si aspettava dai Fleet Foxes nel 2020: non è “cupo”, politico, non è uno specchio di questi tempi. È un disco accessibile ma mai banale, finemente prodotto ma mai barocco, ricco di pezzi meno sperimentali e più strutturati ma sempre incalzante. È un disco capace di aggiustare l’anima e confortare il cuore, un disco a cui tornare e ritornare come una coperta di Linus, in questi tempi bui, per riscaldarci.
21

Fiona Apple
Fetch The Bolt Cutters

Fiona Apple gioca in un’altra categoria, con criteri che non coincidono con quelli comuni; usa suoni che ben conosciamo e ne fa un linguaggio totalmente differente, ed è una di quei pochi artisti in cui l’urgenza di scrivere supera tutto il resto. “Fetch The Bolt Cutters” è il suo testamento spirituale, in cui si lascia alle spalle i dettami della società, del potere, degli uomini e del mondo discografico e, finalmente, trova sé stessa nella sua forma più pura e liberatoria.
20

Moses Sumney
Græ

“Græ” è il più grande lavoro di Moses Sumney sinora uscito. Nella sua instabilità emotiva, il secondo disco dell’artista riesce a rappresentare sia la dolce malinconia dell’essere in vita che la pena dell’esistere. Suonato in continui alti e bassi neo-jazz, rnb e drone, il disco è un tesoro ricchissimo di contenuti, dandoci un tipo di contesto che dovrebbe ora essere parte integrante della scena pop ma che purtroppo ancora non lo è.
19

Thundercat
It Is What It Is

“It Is What It Is” è uno spettacolo sia per come suona, con la consueta miscela ironica e sensuale fatta di R ‘n’ B e funk, variata dalle mani di collaborazioni illustri (su tutti Flying Lotus); che anche – e soprattutto – per l’anima che, per la prima volta, Thundercat semina in un’incisione discografica:It Is What Is It è il luogo in cui Stephen Bruner ripercorre il suo vissuto recente, segnato soprattutto dalla scomparsa dell’amico Mac Miller. Il groove che diventa commozione.
18

Oneohtrix Point Never
Magic Oneohtrix Point Never

Sia chiaro, come a ogni disco di Lopatin, è come se avessimo davanti a noi quella schermata della tv a tubo catodico tipica dei canali senza segnale: granelli grigi e neri (la copertina anche lo ricorda), e tanto rumore strano. E già per questo, “Magic Oneohtrix Point Never” potrebbe essere uno dei dischi/metafora dell’anno. Mettiamoci poi che in che in questo nono album, intriso di nostalgia, OPN sperimenta per la prima volta nella propria discografia anche una parvenza di pop… insomma, serve altro?
17

IDLES
Ultra Mono

Dopo un inaspettato successo mainstream con “Joy As an Act of Resistance”, le aspettative nei confronti degli Idles erano ormai altissime. Ultra Mono è la risposta degli Idles a tutto questo: un album legato al momento, estemporaneo e composto cercando di ignorare il mondo fuori. Il risultato è un disco diretto, violento e che che fa dello sloganismo un linguaggio accessibile.
16

Charli XCX
how i’m feeling now

Se il genitore 1 di “how i’m feeling now” è Charli XCX stessa, il genitore 2 è stato sicuramente il lockdown che ha coinvolto mezzo mondo, senza il quale questo album non sarebbe mai esistito, né nella forma né tantomeno nei contenuti. Charli racconta le sue giornate, i suoi pensieri e i suoi desideri durante il lockdown attraverso il bubblegum/bedroom-pop di cui è regina e qualche sprizzo di rave-synth che ci hanno aiutato a sognare nuovamente un mondo pieno di party.
15

HAIM
Women in Music Pt. III

“Women in Music Pt. III” ha segnato il ritorno delle HAIM, a tre anni di distanza da Something to Tell You. Con questo nuovo lavoro, le sorelle si allontanano gradualmente dal soft-rock degli esordi e – guidate dalla sempre eccellente produzione di Rostam e Rechtshaid – abbracciano sonorità elettroniche e R&B anni ’90. Il tutto accompagnato da liriche introspettive e personali, tra brani che parlano di depressione, di perdite e dell’indissolubile legale tra Danielle, Este e Alana.
14

Dua Lipa
Future Nostalgia

“Future Nostalgia” di Dua Lipa prende i migliori suoni degli ultimi 40 anni di musica e li teletrasporta al 2020: ispirandosi a modelli come Madonna, Kylie Minogue e Diana Ross, la cantante britannica fonde abilmente disco anni ’80, synth, ritmi funky e melodie in grado di appiccicarsi immediatamente in testa. In un anno in cui è stato impossibile ballare nei club, Future Nostalgia è stata la cosa più vicina a un’esperienza di questo tipo. Rigorosamente tra le mura domestiche.
13

Perfume Genius
Set My Heart on Fire Immediately

Alla quinta prova, quella di Perfume Genius è ormai una discografia impeccabile. In “Set My Heart on Fire Immediately” continua l’evoluzione della scrittura di Mike Hadreas, una voce che con gli album è passata dalle emozioni appena sospirate allo scalpore e che, adesso, si è accettata ed è più sicura di sé. Set My Heart on Fire alterna minimalismo e massimalismo in un equilibrio da mozzafiato.
12

Ela Minus
acts of rebellion

acts of rebellion è una delle migliori sorprese dell’anno. Il disco della produttrice colombiana è un inno alla semplicità e conquista già al primo ascolto: parte in quarta e, prima di annoiare, cambia registro, senza mai risultare incoerente. Synth Pop, Techno e Ambient convivono organicamente in un album studiato con cura ossessiva, dove il canto sussurrato, in inglese e in spagnolo, risulta tanto essenziale quanto ipnotico.
11

Kelly Lee Owens
Inner Song

Dopo averci conquistati con l’omonimo album di esordio, Kelly Lee Owens supera se stessa pubblicando Inner Song, un disco in cui riesce a veicolare tutto il suo talento sia nelle dolci tracce Dream Pop, sia nelle travolgenti hit Techno. Trattando temi personali, come il benessere mentale, e di interesse globale, come il cambiamento climatico, la produttrice gallese ci invita a riflettere con consapevolezza sullo status quo con l’obiettivo di migliorarlo.

10

Porridge Radio
Every Bad

Every Bad dei Porridge Radio ha all’apparenza tutti gli elementi di un disco post-punk, che però riesce ad autosovvertirsi: ripetitivo e martellante, ogni verso trova nuovi significati e nuove interpretazioni grazie ai testi e all’espressività di Dana Margolin. Every Bad è il disco dei giorni che si ripetono quasi identici l’uno all’altro, fino a fondersi in una memoria appannata.

09

Rina Sawayama
SAWAYAMA

In un 2020 che sembra aver fermato il tempo, è facile ripensare con nostalgia a giorni più felici: l’album di esordio di Rina Sawayama sembra fatto apposta per questo. Le 13 canzoni di SAWAYAMA sono un rinfrescante tuffo nell’oceano Y2K, tra Pop, R&B, Metal e Dance. Il pastiche di generi diversi, talvolta nello stesso brano, potrebbe spiazzare a primo impatto, ma se si resiste allo smarrimento iniziale, è quasi impossibile non innamorarsi di questo disco.

08

Tame Impala
The Slow Rush

Con The Slow Rush i Tame Impala non inventano nulla di nuovo, ma il punto è che non ne hanno bisogno. L’evoluzione da Innerspeaker è stata lenta ma costante, con nuovi tasselli aggiunti album dopo album e le chitarre che hanno lasciato sempre più spazio ai sample. Quarto album in studio, quarta prova di qualità altissima: il genio di Kevin Parker sta anche qui, nel riuscire a innovare ogni volta il suono della band pur rimanendo sempre, perfettamente riconoscibile e coerente con il tempo che passa.

07

Yves Tumor
Heaven To A Tortured Mind

Di “Heaven To A Tortured Mind”, ciò che ha sorpreso maggiormente è stata la capacità mimetica di Yves Tumor. L’artista di casa Warp ha saputo vestirsi da rockstar consumata, e reinventandosi sotto queste nuove spoglie, ha costruito un melting pot di stili, di influenze, e soprattutto di generazioni musicali che hanno segnato epoche diverse; un’alchimia che, tutta insieme, ha dato vita a un album incredibilmente maestoso.

06

Waxahatchee
Saint Cloud

Attraverso gli 11 brani che compongono l’album, la cantautrice dell’Alabama intraprende un viaggio che dalle rive del Mississippi l’ha condotta fino a St. Cloud, Florida. La strada che la riporterà nella città natale di suo padre è la stessa che la ricondurrà alle sue radici alt-country e southern rock, dando vita ad un disco passionale e americano fino al midollo i cui protagonisti sono gli sconfinati spazi aperti del sud degli Stati Uniti. Dopo anni e album di tormenti, dipendenze, rotture dolorose e incertezze sul futuro, Waxahatchee è cresciuta, lotta ancora con qualche demone, ma è ormai pronta a prendersi la vita e i tutti i riconoscimenti che merita.

05

Amaarae
THE ANGEL YOU DON’T KNOW

Quello di Amaarae è senza ombra di dubbio uno degli album più freschi e genuini che possiate ascoltare in questo triste e oscuro 2020. L’album è un importante segnale di evoluzione di tutta quella scena alt-rnb che abbiamo apprezzato negli ultimi 5 anni che oggi incontra questa nuova corrente di afrobeat tribali tirati a lucido per le classifiche più pop. Musica per fare l’amore, o per masturbarvi se state leggendo mentre siete ancora quarantenati.

04

King Krule
Man Alive!

Passano gli anni e Archy Marshall continua ad avere in pugno la nostra fiducia. Nella sua trasformazione da giovane idolo dei teen ad adulto che canta le sue responsabilità, King Krule mantiene alto il suo onore migliorandosi di volta in volta, regalandoci un disco che sopprime certe depressioni passate e che vede ad un futuro più sensato e sereno, calmando le acque di un anno troppo agitato.

03

Fontaines D.C.
A Hero’s Death

A Hero’s Death è stato uno dei migliori dischi dell’anno per tanti motivi diversi; è per questo che li diluiamo tutti in uno: la capacità di aver confermato aspettative altissime. Il secondo album dei Fontaines D.C. ha spazzato via ogni riserva sulle capacità della band, e ha soprattutto confermato che i chitarroni post-punk d’oltremanica, e la poetica che li accompagna, sono e saranno sempre protagonisti speciali della nostra musica preferita.

02

Phoebe Bridgers
Punisher

Phoebe Bridgers prosegue il percorso iniziato con Stranger in the Alps, regalandoci un disco che è stato porto sicuro per molti. Pur conservando le caratteristiche del debut album, Phoebe è stata in grado di impreziosire e migliorare la candida emotività, le atmosfere stordite e i versi evocativi (conditi da momenti di ironia glaciale) grazie all’aggiunta di nuove sonorità, importanti collaborazioni e un’aggiunta di genuinità. Phoebe ha plasmato un proprio sound, uno stile e una personalità immediatamente riconoscibili, riuscendo a stagliarsi nel mare magnum di cantautori folk con un album bello e personale, che, senza far rumore, accoglie chiunque tra le sue braccia dando protezione e conforto nel bel mezzo della tempesta.

01

The Weeknd
After Hours

A mesi di distanza dalla sua uscita, è piuttosto chiaro ormai che “After Hours” non è un semplice album pop. A partire dall’estetica sci-fi-poliziesca degli eightes fino ad arrivare alle liriche dei brani, quello che Abel è stato in grado di creare è un album pieno di sorprese che riescono a sfondare quel banale muro del pop, arrivando a stupire l’orecchio e il cuore di chiunque. L’ascolto di “After Hours” (tra synth-pop, ritmi 2-step e ballad r&b) è un giro sulle montagne russe dell’emozione: sono pugni in faccia seguiti dalle migliori scopate della tua vita, un po’ quello abbiamo vissuto tutti quanti nel 2020 insomma. Blinding Lights, Hardest To Love e Scared To Live sono le punte dei diamanti grezzi di un The Weeknd in stato di grazia che ha spaccato completamente il 2020 in due.