Il progetto musicale dei Fontaines D.C. si sta configurando sempre più come un progetto poetico. La poesia è l’alimento privilegiato del frontman Grian Chatten, delle chitarre di Carlos O’Connell e Conor Curley, del basso di Conor Deegan e della batteria di Tom Coll; lo avevamo intuito con Dogrel, lo sottoscriviamo oggi con A Hero’s Death. E se lo scopo della band, come crediamo, era proprio quello di elaborare un’espressione creativa considerabile poetica, questo obiettivo, al secondo album, è stato pienamente raggiunto.

In altri termini, se Dogrel era la ricerca del vello d’oro, A Hero’s Death è il vello d’oro stesso: l’avventura argonautica dei Fontaines D.C. è durata poco più di un anno. Esordio, infinite date europee e nord-americane, nomination al Mercury Prize; da queste peregrinazioni, nei primi mesi di questo assurdo 2020, è arrivato il nuovo album, con il quale la band di Dublino certifica di aver trovato la sua voce definitiva, liberandosi da ciò che in Dogrel poteva essere un limite (un limite di cui ci accorgiamo solo ora, sia chiaro), ovvero quei nervi tesi, sovraesposti, tipici di chi vuole prendersi tutto.
La vocazione pigliatutto resta anche oggi, ma ha cambiato aspetto: è stata annacquata in una soluzione post-punk più dreamy, umoristica, psichedelica, universale. Una soluzione nella quale non spicca un segno distintivo in particolare oltre alla voce di Grian Chatten, ma che ha trovato la sua unicità nell’amalgama di un suono che rimanda a tante altre dimensioni, ma al tempo stesso resta fisso in una sua unicità.

Un esperimento per avere ulteriore conferma del valore della band, seppur poco scientifico, consiste nel fatto che ho ingannato un mio amico, il quale non conosce né i Fontaines D.C. e né tantomeno il loro secondo album, A Hero’s Death: con un po’ di musica di sottofondo da me scelta durante una serata di nullafacenza, volontariamente mettevo in coda i nuovi brani della band di Dublino e aspettavo, come si fa con i pesci. Aspettavo che in quei momenti morti in cui di solito si dice “che caldo oggi!”, lui potesse dirmi “ammazza bella ‘sta canzone, di chi è?”. Invece no: ad abboccare abbocca, ma lo fa dicendo “bella questa, la conosco, ricordami un po’ chi sono loro?”.

Serendipità, insomma: cercando una risposta ne ho trovato un’altra, forse più importante. “Bella”, “la conosco”, “ricordami”. Anche solo questo sciocco apologo ci conferma che il post-punk dei Fontaines D.C. ha raggiunto una forma di alchimia sofisticatissima, tra nostalgia e contemporaneità, emulazione e originalità; e ci porta a pensare che, da qualsiasi parte lo si guardi, A Hero’s Death gira senza intoppi.
Lo fa non soltanto per via di piccole sfumature, ma anche e soprattutto grazie a due meccanismi macroscopici, quelli che in un certo senso racchiudono tutto: la forza de testi e la forza degli strumenti, collegate tra loro da un nodo ben saldo.

La poetica dei testi si libera da alcune restrizioni e si espande. Lo sfondo dei Fontaines D.C. non è più solo Dublino: la città piovosa padroneggiata dal frontman (“Dublin in the rain is mine” cantava in Big) lascia spazio a un set più universale, su cui sferza una nuova pioggia: “I was there / When the rain change direction” (Lucid Dream). L’attenzione verso le dinamiche sociali (la working class e la sua desolazione, centrali in Dogrel) si evolve in una più profonda riflessione esistenziale. Una riflessione cupa e nuvolosa (sì, pioggia e nuvole sono immagini onnipresenti nei Fontaines D.C.), ma anche arrabbiata, umoristica, che parla la lingua di chitarre sia rumorose sia ridotte al minimo (dal frastornato outro di A Lucid Dream fino all’arpeggio semplice di Oh Such Spring, che ricorda Nothing Else Matter), di una batteria di pari passo versatile e di un basso in grado di prendersi la scena da solo (in Televised Mind, su tutto).

L’album affronta a più riprese il tema della libertà e dell’indipendenza individuale. Lo fa nel corso di tutta la sua durata, esplicitamente in brani come I Don’t Belong e Televised Mind; ma il filo rosso tocca l’apice in A Hero’s Death, pezzo in cui c’è il verso che racchiude tanto del senso dell’album – e dei Fontaines D.C. – in generale:

When you speak, speak sincere
And believe me friend, everyone will hear

Questo è un disco poetico anche nella sua struttura, nei ritmi che hanno la struttura della tracklist e più nello specifico i singoli brani. Per tutti i quarantasette minuti, intanto, non si ascolta mai un passaggio fuori luogo, che stoni col contesto. Le parole di Chatten si concatenano tra loro con espedienti retorici utili, su tutti la ripetizione: il ritmo di A Hero’s Death è dato proprio da formule ripetitive, che spesso sono anche l’albero maestro di intere canzoni. Ci sono brani che sembrano nati da singole espressioni: l’ “operating faster” che traina tutta You Said, il verso “I don’t belong to anyone” che domina l’incipit dell’album, l’ossessivo “That’s a televised mind” di Televised Mind e il cantilenante “Love is the main thing”, nella traccia omonima – senza dimenticare “Life ain’t always empty” di A Hero’s Death.
Andature sincopate che ricordano i Gang of Four sono controbilanciate da scritture più estese, come le devastanti strofe di A Lucid Dream, quelle psichedeliche di Sunny o quelle conclusive di No.

Stiamo assistendo a un redivivo concetto di post-punk, non c’è dubbio; indipendente sia da quello originario che dal revival dei primi Duemila. Negli ultimi anni, abbiamo accolto l’esordio e lo sviluppo di diversi gruppi che hanno acceso questa nuova luce, gruppi come Preoccupations, Protomartyr (tornati da pochissimo), Parquet Courts e ancora Shame, Idles, Black Midi (che con i nostri irlandesi, condividono il producer Dan Carey). In Post Punk. 1978-1984 (Minimun Fax, 2018), Simon Reynolds scrive riferendosi alla scena originaria:

Dotato di una missione e pienamente concentrato sul qui e ora, il post punk seppe creare un elettrizzante senso di urgenza.

Copiare e incollare ai giorni nostri queste parole? Sì, si può fare. Una conferma ce l’hanno appena data i Fontaines D.C., che con A Hero’s Death firmano il loro primo vero manifesto di poesia e di post-punk. Con l’urgenza di chi vuole passare subito dalla fase dell’esordio a quella dell’affermazione.

Un’affermazione raggiunta.

Tracce consigliate: A Lucid Dream, You Said, Sunny,