Capita che un giorno a caso del 2019 io stia facendo un innocuo giro su Pitchfork alla ricerca di nuova musica. Gira che ti rigira, finisco nella sezione Best New Track e mi metto a grattare tra i brani: è lì, tra l’ennesima new sensation dell’hip-hop e un nuovo artista che fa elettronica destrutturata, che incontro per la prima volta i Dogleg.

Quando ascolto Fox per la prima volta, ne esco come dopo un frontale con un tir: completamente steso. La recensione non mentiva: il brano è davvero l’unione dell’emo revival del decennio appena finito con l’aggressività dei Cloud Nothings e la grandeur dei Japandroids di Celebration Rock. Ero in estasi. Da quel giorno Fox ha accompagnato ogni mia giornata, dove ho cercato di convincere tutte le persone a me vicine che dovevano ascoltare i Dogleg, che la loro vita sarebbe stata cambiata, che forse avevo trovato una nuova grande band. Nella mia testa esisteva solo uno slogan: la musica emo riparta dai Dogleg.

13 marzo 2020, esce Melee, il loro primo album, che suona come un calcio volante in faccia. Non c’è un modo più carino per dirlo: rispetto ai due EP del 2016, questo primo album è più potente, duro, abrasivo, vera e propria lava incandescente versata nelle orecchie. È impossibile ascoltare Melee e rimanere fermi: due secondi di Kawasaki Backflip e sarete già a fare air-guitar, pronti a puntare il dito al cielo e cantare anche voi “Tear down the walls, we don’t need them now”. Bueno, secondo brano in scaletta, vi trascinerà a forza come una valanga porta tutto a valle, persi tra le rasoiate di chitarra e i mulinelli di batteria.

Non esistono momenti morti in Melee: parliamo di 35 minuti al fulmicotone che non intendono fare prigionieri. Ironicamente, la musica che ha ispirato i ragazzi della band è distante da tutti i nomi fatti sopra: i primi Arctic Monkeys, gli Interpol, gli Strokes… la band di Julian Casablancas, soprattutto le chitarre, fa spesso capolino in Melee una volta che se ne scopre l’esistenza (Wrist, Wartortle). Un altro nome fatto dalla band in più di un’intervista è quello dei Crash Of Rhinos, il cui emo da demolizione suona decisamente più opprimente della musica di Melee, ma rimane una solida pietra di paragone per brani che puntano molte delle proprie fiches sulla potenza: Headfirst, Hotlines, Prom Hell e Cannonball fanno un ottimo lavoro nell’unire i decibel al singalong, ma è la conclusiva Ender a stupire con i suoi 6 minuti di durata e questi continui pien(issim)i e vuoti che gonfiano il brano come un mantice, mentre nelle orecchie passano cori, urla sguaiate, violini e synth.

I don’t even care if you pirate it, If you love our music enough to steal it, I love you. I would say the biggest thing you can do to support us is to tell your friends about us

Questi i pensieri del leader Alex Stoitsiadis sulla ricezione di Melee e sulla sua idea di “successo”. Per questi ragazzi non è cambiato molto, in fondo: caricano gli strumenti sul furgone, suonano i loro brani ai quattro angoli degli Stati Uniti, fanno casino. Il successo, quello vero, sembra una di quelle favole distanti, anche se alcuni pezzi di Melee sono destinati a diventare dei veri e propri classici.

Parecchi mesi dopo aver scoperto Fox su Pitchfork, Melee è disponibile a tutti ma non è ancora arrivato a così tanti. Proprio Pitchfork gli ha riservato un trattamento da superstar, e la band sarà probabilmente ospite fissa a tutti i futuri festival del forcone, ma questo tipo di emo sotto steroidi sembra aver fatto il suo tempo. Amato dai critici, snobbato dal grande pubblico, nonostante essere sotto un palco, dito alzato, a cantare il pezzo della vita rimanga una delle migliori sensazioni che si possano provare.

Tracce consigliate: Fox, Wartortle, Ender