Ultra Mono is an engine of the self. Ultra Mono is a momentary artifact of us being. We are derivative, we are everything we love and that is beautiful. We are naive. We are sloganeering. We are not what you think we are. Ultra Mono is the engine of what we are, now.

Il terzo album degli Idles arriva in un momento cruciale per la band di Bristol, che col bellissimo Joy As an Act of Resistance era riuscita a dare vita ad una piccola rivoluzione sociale e discografica: un messaggio positivo ed unificante, una fanbase che è tra quelle cose che ti fanno sperare di nuovo nell’umanità, il senso di collettività nell’urlare insieme ai loro concerti. Sale concerti riempite nell’arco di pochi minuti e senza mai compromettere l’identità punk della band – nemmeno a Glastonbury.

Con un’eredità così pesante è normale essere nel mirino di tutti. C’è chi diffida degli Idles già dai tempi di Joy, c’è chi li chiama borghesi che giocano a fare i proletari, c’è  chi li chiama sloganistici e derivativi.
E qui arriva Ultra Mono, sloganistico e derivativo e frutto del presente come dice la quarta di copertina del vinile. Con addosso gli occhi e le aspettative di tutti, gli Idles decidono di fare un passo indietro e comporre i brani d’istinto per poi montarne insieme i pezzi, per dare un senso più estemporaneo – e quindi più sincero – al disco.

Ultra Mono non piace a tutti. C’è chi ne lamenta la semplicità dei testi, chi la durezza degli arrangiamenti. Dipende tutto da come leggi il disco, in sostanza. I testi degli Idles sono ripetitivi e memorabili, fatti per essere urlati ai concerti, condivisibili nei loro attacchi all’establishment britannico. È un linguaggio che ha portato gli Idles non solo tra gli intellettuali millennial, ma anche nella working class inglese delle council house, dei benefit e dell’austerity e dei tagli alla sanità di un decennio di governo Tory, una working class spesso fatta di vecchi punk che ora diffidano dei loro vecchi idoli, e che trova una voce nella semplicità di un linguaggio che non li tratta da ultimi.
È da lì che nasce questo piccolo miracolo che fuori dal Regno Unito è un po’ più difficile da capire, quello che in Joy cantava “This snowlake’s an avalanche” e in Ultra Mono canta Do you hear that thunder? That’s the sound of strength in numbers” – e il bello è che è sempre un invito a mobilitarsi per qualcosa di positivo, che alla fine è una cosa forse populista, semplicistica, ma che sembra funzionare.

Ultra Mono è, al tempo stesso, un album più scarno e più violento dei precedenti. Si sente l’idea di costruire l’album a partire da un elemento e c’è una forte attenzione alla ritmica piuttosto che alla melodia – picchiano duro la batteria di Jon Beavis e il basso di Adam Devonshire – ed il tutto è più crudo, il cantato di Joe Talbot più tagliente, l’effetto più vicino ad un disco post-hardcore o addirittura metal che a quello di una band in cerca di facile consenso. E sono azzeccate le collaborazioni, con Warren Ellis dei Bad Seeds nella potentissima Grounds e con Jehnny Beth delle Savages in Ne Touche Pas Mois, è azzeccata l’apertura con la cattivissima War, ed è azzeccata la chiusura con l’omaggio a Daniel Johnston di Danke.

Che piacciano o meno, questi sono gli Idles di questo momento specifico, fedeli a se stessi e consapevoli di aver creato qualcosa che va oltre la loro musica.

Tracce consigliate: Grounds, War, A Hymn