È passato oramai un decennio da quando, tra Stoccolma e Hollywood, veniva registrata la trilogia Body Talk di Robyn. Un tris di album del quale – per comodità – si tiene conto solo dell’ultima parte, ossia quella che racchiude il meglio dei primi due lavori con l’aggiunta di qualche inedito, a mo’ di greatest hits. È stata esattamente questa compilation, guidata dall’incredibile Dancing On My Own, a predisporre gli standard della musica pop degli anni ’10: da Carly Rae Jepsen a Charli XCX, da Lorde alla nostra Dua Lipa.

Future Nostalgia è un album dalla facile comprensione, forse fin troppo: un primo ascolto distratto ti porterà a pensare che, quello di Dua, sia il solito ripetitivo tributo banale e senza idee alla musica disco-pop dei primi anni ’80, ma per fortuna c’è di più. Molto di più.

In primis Future Nostalgia è un disco che riesce perfettamente a sviluppare il tema che propone, sia nel titolo dell’album che nell’omonima opening-track, quando canta “You want a timeless song/I wanna change the game“. Quello che si prova durante l’ascolto, infatti, è un vero e proprio viaggio nostalgico tra i miglior synth degli 80s e i groove della disco di Detroit che però non risulta stucchevole e prevedibile, anzi ti lascia in bocca un ottimo sapore di modernità, perché è un album che suona 2020, non 1982. La produzione e gli arrangiamenti di tutta la tracklist sono micidiali: le oltre cento persone in cabina di regia hanno tirato fuori suoni e melodie davvero sublimi – che si trasformano in pelle d’oca in alcuni brani (Physical e Cool su tutte).

Per capire meglio il lavoro svolto in fase di mixing fate partire Break My Heart per catapultarvi in un’esperienza immersiva come se vi trovaste in mezzo alla dancefloor durante un dj-set a Chicago qualche anno prima del 1990 (Audio 8D, ci leggete?). Ed è proprio per questo che dalla prima alla penultima traccia (l’ultima no, perché è una ballad Melodramatica) non si riesce a star fermi: i ritmi disco sembrano usciti dalla mente di Giorgio Moroder, i giri di basso ispirati a Bernard Edwards ti mandano fuori di testa e i modelli a cui Dua si ispira svariano da Madonna (Physical), Lily Allen (Good In Bed), Diana Ross che si unisce le Spice Girls (Levitating), Kylie Minogue e Lady Gaga (Allucinate) e Moloko (Love Again, che riprende un sample del 1932 – reso famoso dai White Town nel ’97).

Oltre ai 37 minuti di ottima musica, troviamo una Dua Lipa cresciuta rispetto al disco di debutto: le esperienze vissute – musicali e affettive – si ripercuotono nei testi che, con i limiti che pone la music pop-radiofonica, riescono comunque ad avere un filo conduttore. Il tema per la maggior parte è l’amore, in cui racconta (tra le righe) la storia finita con Paul Klein e (molto più apertamente) l’attuale relazione tutta rose e fiori con Anwar Hadid. Inoltre Dua si propone senza paura come la nuova female-alpha a cui far riferimento (un po’ superficiale poi lo sviluppo del tema) che può fare a meno degli uomini per raggiungere i suoi obiettivi.

Pensare a Future Nostalgia come un nuovo Body Talk per il nuovo decennio può sembrare un po’ pretenzioso: il mondo musicale di oggi cambia forma troppo rapidamente rispetto a 10 anni fa, per di più quello pop. Ma se avete ascoltato con attenzione anche After Hours di The Weeeknd e se due indizi fanno una prova, possiamo prepararci a una resurrezione di questo synth-disco-elettro-pop direttamente da una Roland Juno-60 e dalla creatività disco di Giorgio Moroder.

Tracce consigliate: Physical, Cool, Future Nostalgia