Quando nel 2013 uscì Cerulean Salt, il secondo album di Waxahatchee (Katie Crutchfield), una giornalista inglese di nome Maddy Costa scrisse che in quell’album non si percepiva serenità, perché era nella tristezza che la Crutchfield trovava la sua vera forza. Per molto tempo effettivamente ha avuto ragione: dall’esordio lo-fi indie di American Weekend (2012) alle chitarre compatte – con in produzione John Agnello, già dietro ai muri sonori di Sonic Youth e Dinosaurs Jr. – dello splendido Out in the Storm (2017), la musica di Waxahatchee è stata emotiva, malinconica, arrabbiata e sì, per lo più triste. E allora chissà cosa scriverebbe oggi Maddy Costa ascoltando Saint Cloud, che trasuda serenità come mai era successo in passato e che è il disco più speranzoso e ottimista di Katie Crutchfield.

Questo cambio di umore – dovuto soprattutto alla fine della sua dipendenza dall’alcol nel 2018 – va ovviamente di pari passo con un cambio di suoni: addio alle distorsioni e alle chitarre elettriche che avevano contraddistinto Out in the Storm e benvenuti piano, chitarre decisamente più soft e ritmi easy-listening. D’altronde un segnale che le chitarre sarebbero state messe da parte ce lo aveva già dato con l’EP Great Thunder (2018), rivisitazione in chiave folk e country di vecchi pezzi scritti con l’amico e bassista Keith Spencer degli Swearin’, e che la stessa Crutchfield aveva definito “un cambiamento a 180° rispetto a Out in the Storm: un disco tranquillo, un ritorno alle mie radici”. Radici alt-country e southern rock – Katie Crutchfield viene da Bimingham, Alabama – che stanno alla base anche di Saint Cloud, un disco caldo e americano fino al midollo e prodotto non a caso da Brad Cook, il deus ex machina dietro i lavori di Sharon Van Etten, Big Red Machine, Bon Iver e Whitney.

The Eye, con il suo ritmo pigro e cadenzato, è infatti un pezzo di Americana da manuale, War e Hell fanno battere il piedino con il loro folk-rock un po’ Bob Dylan un po’ Dolly Parton, mentre i tre singoli Fire, Lilacs Can’t Do Much, con ritornelli dolci come un cucchiaio di miele e dove l’estensione vocale di Katie Crutchfield arriva dove non era arrivata mai, suonano allo stesso tempo classici e contemporanei, perfetti da ascoltare in macchina in viaggio verso un posto caldo e umido.

C’è un momento della vita in cui ogni donna, anche senza aver letto Mangia prega ama o l’ultimo post di Lena Dunham, si ripromette di essere meno arrabbiata con il mondo e più indulgente con sé stessa, di perdonarsi e di guardarsi con occhi meno severi. E a volte, ma non succede spesso, c’è un momento dove queste cose smette di promettersele e prova a farle davvero. Saint Cloud é la bellissima testimonianza di una che l’ha fatto davvero: dopo anni (e album) di tormenti, rotture dolorose e incertezze sul futuro, Waxahatchee è cresciuta (“I’m wiser, slow and attuned” canta in Fire), lotta ancora con qualche demone (“In my head there’s a war room” in War) ma è pronta a prendersi tutto.

Tracce consigliate: Can’t Do Much, Fire, War