Cos’ha ancora da dimostrare al mondo Taylor Swift? Niente. I fan la venereranno a prescindere, gli hater troveranno in ogni caso qualcosa che non va in ogni sua azione: è questo che succede quando sei la popstar più importante del tuo tempo. Sei acciaio, sei inscalfibile, il mondo che frequenti tu è diverso dal nostro.
Deve averlo pensato anche Aaron Dessner prima di conoscerla di persona nel backstage del Saturday Night Live nel 2014, scoprendo però una ragazza entusiasta, curiosa, una fan dei National e soprattutto un grande talento. Da quell’incontro, da quel seme, germoglia folklore, ottavo album in studio di Taylor, scritto e prodotto per buona parte insieme a Dessner tramite un continuo scambio di mail, idee, bozzetti sonori e messaggi vocali durante la quarantena. Non stupisce che dal primo di questi sketch sia nata in poche ore cardigan, un singolone da accendini alzati che ricorda da vicino i National di Sleep Well Beast, o il progetto al femminile I Am Easy To Find. Sulla stessa scia si pongono peace, pop song all’apparenza classica ma dal tappeto sonoro minimale in odore di Big Red Machine (infatti gli unici a suonarci sono proprio Dessner e Justin Vernon) e seven – altra piano ballad che ha sollevato più di un paragone con Phoebe Bridgers (a proposito, questa tweet mi ha fatto ridere).
Proprio Vernon, mr. Bon Iver, fa una comparsa in exile, prestando la sua voce profonda (senza vocoder, finalmente) per un altro brano melanconico dall’incedere quasi classico, pronto per essere infilato in almeno un centinaio di colonne sonore nei prossimi 10 anni. Gli altri pezzi che funzionano alla grandissima sono certamente mirrorball, che ricorda da vicino i recenti exploit di Clairo (ed è scritta e prodotta con Jack Antonoff, l’uomo dietro alla rinascita di Lana Del Rey), l’atmosferica epiphany e la quasi uptempo the last great american dynasty, forse il brano che meglio di tutti renderebbe anche in un’eventuale versione non unplugged.
Eh già, perché l’ago della bilancia di folklore è proprio la sospensione dell’incredulità dell’ascoltatore davanti al risultato di questa bizzarra collaborazione. Se da un lato l’esperimento si può definire decisamente riuscito – almeno paragonando folklore agli ultimi due album in studio di Taylor – e aprirà ad Aaron Dessner e di conseguenza ai National le porte di un successo più ampio, d’altra parte un ascoltatore che non sopportava la Swift prima, difficilmente l’apprezzerà in toto anche in questa veste. Questo perché folklore non è l’album indie di Taylor Swift, ma semplicemente un disco pop-unplugged con alcune soluzioni decisamente più sofisticate rispetto al solito: ognuno dei 16 pezzi è un perfetto bignami di musicalità, ritornelli killer e mestiere da vendere, che siano soluzioni ricercate come in cardigan o più piacione come august, betty o mad woman. L’effetto “colonna sonora di Frozen” è sempre in agguato, e per alcuni ascoltatori dal palato più fine potrebbe essere un duro scoglio da superare.
Dopotutto folklore è un album che, appena pubblicato, ha già scatenato qualche polemica nel mondo indie. La più agguerrita del lotto è stata Tomberlin, giovane cantautrice folk che ha accusato la Swift di aver copiato qualche idea qua e la nel mondo delle #ragazzeconlachitarra (compreso il suo album del 2018 At Weddings), facendo nel complesso un lavoro pigro e poco ispirato. Sono arrivati poi l’assalto dei fan di Taylor nei suoi confronti, le scuse più o meno sentite, ma è il focus del discorso a non essere del tutto a fuoco: folklore non è un disco indie, e pure le influenze del genere (se così vogliamo chiamarlo) sono ingranaggi al servizio di una gigantesca macchina pop.
L’abilità di Taylor Swift è da sempre quella di creare delle perfette canzoni pop, a volte smielate e a volte perfette: un dono che il 99,9% della scena indie odierna può solo sognare. C’è chi ci nasce, c’è chi ha imparato col tempo (i Portugal. The Man, ad esempio), ma folklore è la prova inconfutabile che pur senza uno stuolo di produttori e autori alle spalle, la penna della Swift è comunque in grado di scrivere grandissime hit. In quarantena. Scambiando i brani tra mail e note vocali. E portando a casa uno dei suoi album migliori.
Tracce consigliate: cardigan, epiphany, mirrorball, exile (feat. Bon Iver)