Mi piace pensare che tra qualche anno si ripenserà al 2019 non solo come l’anno dell’ottimo pop/neo soul/R&B, ma anche come l’anno in cui, chissà se per caso o per urgenza storica, una buona fetta della musica bianca indie americana sentimento-centrica è arrivata ad un punto di svolta: da Sharon Van Etten ai Big Thiefdai Vampire Weekend fino ai National.

A gennaio è uscito Remind Me Tomorrow, quinto album di Sharon Van Etten, che ha masticato e sputato un passato notoriamente doloroso decisa a non voler più che nessun amore le spezzi le gambe o le tagli la lingua. Ma voi l’avreste immaginata mai, la ragazza di Because I Was In Love (2010), a mettere da parte la chitarra e scrivere canzoni d’amore meno tormentate sotto al cielo di Malibu? Eppure Sharon Van Etten ora è anche questo e a noi non resta che prenderne atto. Come non ci resta che prendere atto – e non è semplice, datevi tempo – del fatto che il timbro iconico e confortante di Matt Berninger non è l’unico che sentiamo in I Am Easy To Find. Ma voi l’avreste immaginata mai, Rylan, cantata da qualcun altro al di là di Berninger?

Eppure proprio Sharon Van Etten – insieme Gail Ann Dorsey (David Bowie), Kate Stables (This Is the Kit), Pauline de Lassus Saint-Geniès (cantante e moglie di Bryce Dessner), Eve Owen e Lisa Hannigan – fa parte di quell’opera collettiva che è I Am Easy To Find, e la sua voce si intreccia con quella di Matt Berninger in The Pull Of You, una canzone-conversazione sull’amore in spoken word che non era riuscita due anni fa ad entrare nella rosa finale di Sleep Well Beast. Ma soprattutto si avvertono l’eco e le parole di Carin Besser, moglie di Berninger e co-autrice ormai dai tempi di Boxer (2007) di gran parte dei testi della band:

Non mi sento un membro “aggiunto” dei National, mi sento invece parte di un gruppo, di una struttura, di un insieme di persone che hanno gravitato attorno alla band per così tanto tempo che è come se la band fosse diventata edera che mi e ci cresce addosso. Una grande famiglia di persone che da molti anni si incontrano nei backstage, in studio e nelle sale d’attesa delle radio e che ormai hanno figli piccoli e preadolescenti. Le famiglie sono state una parte fondamentale della band in tutti questi anni e credo che il nuovo disco voglia parlare proprio di questo. 

Che spaesamento però, che confusione non sentire più dopo sette album un monologo ma un dialogo. A pensarci bene però anche che meraviglia, che coraggio l’idea di espandere una band fino a farne un collettivo, una spugna che assorbe da tutte le persone, gli artisti e le esperienze che le gravitano attorno senza intaccare minimamente la propria identità ed integrità artistica.

Negli anni ci siamo molto affezionati ai pugni allo stomaco che ci hanno tirato tanto Sharon Van Etten quanto i National, a noi giovani adulti middle-class (You’re pink, you’re young, you’re middle class/ Fifteen blue shirts and womanly hands), a noi mediamente acculturati cittadini ansiosi e incapaci di gestire emozioni complesse. Questi pugni nello stomaco – che per comodità chiameremo Because I Was In Love (2010), Tramp (2012), High Violet (2010) e Trouble Will Find Me (2013) – sono diventati nel tempo la comfort zone in cui far sguazzare la nostra inadeguatezza sociale e la nostra fragilità emotiva. Ci siamo così tanto affezionati a questi pugni allo stomaco che un po’ soffriamo e un po’ arranchiamo a capire un disco come I Am Easy To Find, che è ancora più lungo, moody e astratto del fratello Sleep Well Beast (I Am Easy To Find è notoriamente un insieme di canzoni che non ce l’hanno fatta ad entrare in Beast), che è ancora meno immediato e ha ancora meno pezzi-schiaffi-in-faccia (forse davvero solo quella vecchia conoscenza di Rylan e quella perfetta piano-ballad 100% National che è la conclusiva Light Years). Insomma, un disco compatto ed elegante (gli archi da far tremare le ginocchia di Hey Rosie, il perfetto incastro di voci e la sezione ritmica insolita di Oblivions), che di pugni allo stomaco ce ne tira meno.

In un’educazione musicale e sentimentale durata quindici anni, i National ci hanno fatto capire che nessuno cresce restando illeso, che avremmo avuto il cuore infranto, sperimentato delusioni, attraversato grossi fallimenti e piccoli errori e che sì, siamo tutti molto disfunzionali. Se già con Sleep Well Beast Berninger aveva smesso di concentrare lo sguardo solo sui propri demoni e le proprie umiliazioni, in I Am Easy To Find la band si lascia permeare, si schiude, smette di fare i National a tutti i costi e ricerca l’empatia e la complementarietà. Non è il miglior album della loro carriera – e se volete avvicinarvi ai National per la prima volta non è nemmeno l’album giusto per farlo – ma se questo è il prezzo da pagare, se queste sono le canzoni da ascoltare per la trasformazione della band, io firmo qui ed ora.