Uno pensa che gli australiani siano tutti shorts a fiori e faccia ebete, e invece poi si scopre che anche alcuni di loro si fanno crescere la barba da hipster e amano crogiolarsi nella malinconia.
Dalla partecipazione alla colonna sonora di Shortbus, Scott Matthew viaggia al ritmo regolare di circa un album ogni due anni e senza manifestare alcun bisogno di apportare varianti sostanziali alla ricetta originaria. Dopo l’esperienza alt-pop negli Elva Snow, il suo stile in versione solista si attesta sin dal self-titled del 2008 su un cantautorato struggente, in cui la componente emotiva è enfatizzata da arrangiamenti che affidano tutto a dosi massicce di archi e piano. Di This Here Defeat sono sufficienti titolo e front per capire che l’ascolto comporterà un certo dispendio emozionale. Il songwriter del Queensland continua infatti a convogliare ogni energia in intensità piuttosto che in sperimentazione, in un percorso artistico coerente e incurante dei trend, che anche in un territorio scivolosissimo come un album fatto interamente di cover di brani intoccabili (Unlearned, 2011) ci ha persuaso spesso del fatto che in fin dei conti la musica non ha bisogno di peripezie se possiedi una voce corposa e avvolgente e la capacità di sprofondarla in abissi acustici (ascoltare per credere le sue reinterpretazioni di Love Will Tear Us Apart e I Wanna Dance With Somebody).

Pur restando fedele al mood di cui sopra, This Here Defeat si concede qualche strappo alla regola. L’apparato strumentale si avvale di qualche escamotage in più, gli echi folk vengono meno. Effigy apre il disco con i consueti archi tormentati, a supporto di liriche che vagano inquiete nell’intimità più profonda a base di disfatte e abbandoni, ma si srotola su di un timido sfondo elettronico. Skyline rischiara l’atmosfera con accenni di speranza e la chitarra si arrende all’amplificazione. Pur avendo sempre fatto a meno di una sezione ritmica tangibile, in Soul to Save Matthew si affida persino a qualche accenno di batteria. Tra la title-track in cui si scioglie in un cantato da crooner e i cori femminili di Bittersweet potremmo quasi azzardarci a dire che si tratti di gioia tenuta a bada.

Senza volgere lo sguardo troppo indietro nel tempo, ci sono almeno un paio di recenti album (Benji e Carrie & Lowell) che viene spontaneo paragonare al lavoro di Matthew , poichè affrontano con successo la stessa duplice sfida (che in passato lui stesso ha vinto) di esporsi incondizionatamente nelle liriche e di farlo senza l’ausilio di escamotage compositivi modaioli, convincendoci senza alcuna difficoltà ad abbandonarci in caduta libera nei loro precipizi interiori. Durante l’ascolto di This Here Defeat succede invece che a metà della discesa si avverta il bisogno di risalire a galla annaspando. Una metafora per dire che qualche volta ti assale persino una gran voglia di skippare.
Smussando qualche spigolo, il quinto album del cantautore australiano sembra quindi essere il più fruibile della sua carriera ma finisce per perderci in essenza, poichè non possiede frangenti capaci dello stesso pathos che distingue brani come White Horse o Every Traveled Road, in cui il compito di dettare suggestioni è tutto affidato all’alternarsi di vuoti e pieni, tregue e scariche, in un vortice a cui si cede senza opporre resistenza.

Tracce consigliate: Skyline