Jehnny Beth, anni 35, ha già vissuto molteplici vite. Nata Camille Berthomier in Francia, è nota ai più per essere la cantante delle Savages, con cui ha pubblicato due album straordinari. Non finisce ovviamente qui: oltre alle collaborazioni con Gorillaz, Julian Casablancas, Trentemøller e IDLES, Jehnny ha anche una fortunata carriera radiofonica su Beats Radio 1, qualche ruolo minore come attrice e un’altra band – John & Jehn – messa in piedi con il fidanzato e produttore Johnny Hostile e la chitarrista delle Savages Gemma Thompson.
Buona parte di questi nomi fa parte dell’ecosistema che ha lavorato a To Love Is To Live, il primo album solista di Jehnny. Il post-punk che ha reso celebri le Savages occupa un ruolo decisamente marginale, soppiantato da percussioni industriali o atmosferiche ballate al pianoforte. Prodotto proprio da Hostile, il range sonoro sfiora il Nick Cave più recente (I Am, The Rooms) fino a concludere la sua iperbole in territorio Fever Ray (Innocence, Flower). Se da un lato fa piacere che la ferocia tipica delle Savages non si sia placata, dall’altro questi brani risultano i più deboli del lotto: la cacofonia regna sovrana in I’m The Man e How Could You, e non basta Joe Talbot degli IDLES a salvare quest’ultima, nonostante To Love Is To Live sembri comunque segnare il definitivo passaggio di testimone tra le più importanti band post-punk dell’ultimo decennio.
Va molto meglio quando la Jehnny Beth aggressiva viene messa da parte a favore di un tappeto minimale al pianoforte o soluzioni decisamente più atmosferiche, come già fatto dalle Savages in Mechanics. French Countryside è un gioiellino melanconico scritto insieme a Romy degli xx, che esplora l’infanzia di Camille più che di Jehnny. Oppure l’eterea The Rooms, che prima prende posizione contro la mascolinità tossica con toni simili a quelli degli IDLES (“I want to cry but I can’t, I’m a man”) e poi procede algida verso Heroine, altro pezzone scritto insieme a Romy. Qui la voce della Beth rimbalza sulle linee di basso, prima che i synth di Trentemøller entrino a prendersi la scena.
Il disco si chiude con Human, che termina nello stesso modo in cui inizia I Am, creando un loop niente male. Se l’album parte con un’ansia atavica rispetto alle proprie azioni e al proprio posto nel mondo (“I am sorry for my mistakes / I am taking one more breath / I am naked all the time / I am burning inside”) il finale non lascia speranze: questa società uccide per tempistiche e aspettative (“My dreams are filled with snippets of codes / I spent hours a day in a panic mode / Am I bound to succeed? / Am I running behind? / My brain is atrophied, my eyes are going blind”).
In apparenza freddo come la statua in copertina, To Love Is To Live ci consegna invece una Jehnny Beth più incazzata e viva che mai; non avrà la potenza di fuoco delle Savages, ma questa variazione sul tema ci consegna un’artista poliedrica che ha tanto da raccontare, pur con la mancanza di speranze imperante di questi tempi. Ed è forse proprio il senso di disillusione ciò che rimane leggendo i testi di questo To Love Is To Live, ben raccontato dalla voce di Cillian Murphy nell’interludio A Place Above:
Everybody loses, including me, including you
And I’m left with hatred and violence
Tell me who am I now?
Tracce consigliate: French Countryside, Human, The Rooms