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“If you don’t love me, you don’t love anybody”. E’ questo l’incipit di Adore Life, in un tripudio di chitarre ruggenti , piatti pestati come se non ci fosse un domani, e poi la voce di Jehnny Beth, con quel timbro così simile a quello di Siouxsie Sioux contornato da powerchord esiziali, in una sorta di ipotetico continuum rabbioso con il precedente lavoro Silence Yourself.

Se l’attitudine punk è rimasta quella degli esordi, lo stesso non si può dire dei contenuti, influenzati da varie vicende che hanno coinvolto le componenti della band. Le intenzioni di partenza erano bellicose, “to write the loudest songs ever” , ma l’ambiente circostante, Londra, lo stesso che aveva dato alla luce brani come Husbands, She Will, Shut Up, non era più fecondo di idee; quindi quale miglior modo di dare nuova linfa musicale a una band se non quello di alienarsi in una nuova metropoli (New York) e aprirsi completamente al proprio pubblico, testando le nuove canzoni dal vivo? E’ questa la strada che hanno intrapreso le Savages, in un album che potremmo definire “di transizione”.
Transizione anzitutto sonora: nonostante in cabina di produzione sia rimasto il fido, nonché compagno della cantante, Johnny Hostile, il sound complessivo dell’album appare più levigato, più curato, molto diverso da Silence Yourself , registrato in presa diretta. Non ci si lasci ingannare dai singoli The Answer e T.I.W.Y.G (acronimo di “This is what you get”), esempi perfetti di schizofrenia e caos controllato, con il cantato ossessivo della frontwoman quasi in dissonanza cognitiva con il mood della traccia (“Love is the answer”), perchè le Savages raggiungono l’epifania sonora quando escono dalla loro comfort zone; Adore, (semi) title-track, si candida sin d’ora ad essere uno degli anthem dell’anno, nonché uno dei momenti più melodici della loro carriera. Essa rappresenta al meglio l’essenza dell’album, quell’offrirsi apertamente all’ascoltatore , esplorare le proprie vulnerabilità, abbracciare la vita nella sua temporaneità, senza rimpianti, cercando di vedere sempre la luce in fondo al tunnel.

Is it human to adore life?
I understand the urgency of life
In the distance there is truth which cuts like a knife
Maybe I will die maybe tomorrow so I need to say
I adore life

Pur mantenendo una qualche continuità con il post punk di Silence Yourself, Evil e Sad Person sono meno corrosive e più danzereccie, aiutate come sempre da una sezione ritmica in perfetta simbiosi. Surrender seduce, tra bordate noise e un synth super accattivante(à la Trentemøller), mentre l’ascoltatore ipnotizzato si chiede se mai ci sia un errore nel titolo della canzone. Scorrendo le dieci tracce è difficile non notare determinati riferimenti artistici: When In Love ha debiti nei confronti dei Sonic Youth, mentre in I Need Something New scorgiamo l’influenza di Michael Gira, oltre ad un un basso che non mi pento di definire debordante. Chiude Mechanics, direttamente uscita da una coltre di fumo di fine anni ’80.

Pur non riuscendo a raggiungere le vette adrenaliniche dell’album di debutto, Adore Life rappresenta una svolta nella carriera delle rocker inglesi; l’ascolto risulta come sempre poco confortevole, diretto come il pugno che campeggia sulla cover, ma questa volta l’approccio del quartetto è ottimistico, conversazionale. L’offerta musicale qui è più varia, ma allo stesso tempo onesta, del resto Jehnny Beth durante alcuni live a Brooklyn invitava il pubblico a lanciarle oggetti qualora i nuovi brani non fossero di loro gradimento: nulla è stato scagliato sul palco.
Le Savages si candidano seriamente ad essere una delle rockband di riferimento nella scena mondiale.

Tracce consigliate: Adore, Evil, Slowing Down The World