Voi la conoscete una band che non abbia mai sbagliato un album come i Cloud Nothings? Si, è la solita domanda retorica un po’ retrò, ma vale la pena ribadire un dato certo: i ragazzi di Cleveland ci hanno davvero abituati bene, da 10 anni a questa parte, e sono riconosciuti oramai come una delle realtà indie-garage più solide e prolifiche esistenti.
Per il loro settimo album, intitolato The Shadow I Remember, Dylan Baldi & co. tornano finalmente in uno studio di registrazione dopo il complicato periodo di lockdown vissuto negli ultimi mesi, sotto la guida di Steve Albini (fautore anche del sound degli esordi di Attack on Memory). Scritto e registrato prima della quarantena, il disco risulta comunque una naturale prosecuzione dei precedenti ottimi lavori auto-prodotti (The Black Hole Understands e Life Is Only One Event) scritti a distanza durante il periodo di rigido isolamento sociale.
Se quei dischi raccontavano dei primi vissuti rispetto ad una condizione di pandemia mai sperimentati prima, The Shadow I Remember riesce a raccontare in modo quasi profetico uno spaccato delle prime conseguenze emotive ed esistenziali date da un isolamento e da un radicale cambio di abitudini.
Immaginiamo quindi i testi di Dylan, sempre indirizzati al vissuto quotidiano e ad un incessante scorrere di riflessioni interne, immerse in un periodo storico così alienante e nuovo da interpretare.
Il songwriting è sempre di livello eccelso, magnificamente nostalgico e melanconico come testimoniato istantaneamente con la opener Oslo, l’apertura più inusuale e articolata che i ragazzi abbiano mai ideato fino ad ora che mette subito le cose in chiaro:
The world I know has gone away
An outline of my own decay
The body’s broke and the blood is warm
Is this the end of the life I’ve known?
Am I older now or am I just another age?
Am I at the end or will there be another change?
I pezzi di The Shadow I Remember suonano molto fedeli alla tradizione e allo stesso tempo alla timida ricerca di nuove sonorità, con brevi incursioni di synths che talvolta si intrecciano in momenti di improvvise accelerazioni e sfuriate totali come accade nel finale inaspettato di The Spirit Of, uno dei singoli di lancio nonché uno dei pezzi di cui ci si innamora più facilmente.
La chiusura è riservata a The Room It Was, che riassume perfettamente l’essenza attuale della band, che sfoggia ad oggi una certa maturità, con un occhio rivolto alle atmosfere malinconiche del passato che caratterizzavano quella bellezza di album mai celebrato abbastanza di Life Without Sound.
Ah sì, forse era meglio non citarla. Quanto manca, eh?
Tracce consigliate: Sound of Alarm, Oslo, Nothing Without You