Quando uscirono Modern Act e Internal World, non ero per nulla soddisfatto della possibile direzione che avrebbe preso questo quinto lavoro dei Cloud Nothings. Memore, però, del precedente album e dalle stesse sensazioni che percepii all’uscita di I’m Not Part Of Me, ho resettato tutto.

Life Without Sound ha deluso delle aspettative che mi ero posto, ma ne ha create altre altrettanto succulente: Dylan Baldi ha cercato di fare pace con se stesso esternando tutto il suo malessere, e allo stesso tempo, creando qualcosa che lo soddisfi davvero: il pop come forma d’arte alternativa, ossimoro perfetto che giunge dritto al cuore della questione. Da qui in avanti, le capacità del trio dell’Ohio potrebbero essere all’altezza di creare un’opera punk fruibile per chiunque, senza scadere nel lustrìssimo e patinato mondo major; Warehouse degli Husker Du e Let It Be dei The Replacements, non sembrano più molto distanti. Il potenziale di LWS però è isolato dalla (sempre più levigata) divergenza fra le due anime di Baldi: il lato surf, college rock e pop-punk che lo ha sempre contraddistinto fin dai primissimi lavori e l’anima cupa e rumorosa che si sfoga con lo scream. Le influenze ruotano sempre attorno al lo-fi americano dei 90s’, (Superchunk, Pavement e Archers Of Loaf) riprendendo in mano e modellando con personalità il post-punk (Wipers e Misson Of Burma) e post-hardcore/emo (Fugazi, Unwound, Jawbox).

L’apertura a pianoforte di Up To The Surface non può che rievocare No Future/No Past di Attack On Memory (richiamato anche dalla foto del mare in copertina): il pezzo si sviluppa su una progressione di arpeggi, senza l’appoggio di una strofa e di un ritornello, per poi sfogarsi in un assolo solenne. Things Are Right With You e Sight Unseen sono i pezzi più vicini all’anima cristallina del progetto, riuscendo nell’intento di essere granitici e con degli hook perfetti. L’album cambia faccia quando Baldi inasprisce le chitarre e urla tutta la frustrazione accumulata: l’art-punk di Darkened Rings, lo squarcio post-hardcore di Strange Year e la magnificenza della marziale Realize My Fate che esplode ed implode in un turbinìo di fragori e feedback (con l’unico grande dispiacere che duri veramente troppo poco).

Il ritorno di un secondo chitarrista, dopo il periodo da power trio di Here And Nowhere Else, ne ha giovato nella costruzione melodica, senza l’oppressione che si poteva percepire in Attack On Memory, ma sotto un certo punto di vista più spensierato e solare. Siamo di fronte ad un lavoro maturo e compatto, i cui punti “deboli” riescono comunque nel compito di amalgamarsi ottimamente senza mai abbassare l’attenzione. Enter Entirely non sarà il pezzo più bello ma è sicuramente il più interessante, riuscendo ad unire lo yin e lo yang di Baldi in una ballad che farebbe invidia ai Built To Spill. Il grandissimo punto di forza della sezione ritmica vede l’aggiunta di un’essenziale ma non banale parte melodica: le chitarre s’inaspriscono quando serve e riescono ad essere rocciose e avvolgenti allo stesso tempo.

I cambiamenti che danno corpo all’album li ritroviamo anche sul piano lirico. La disperazione di Baldi è sempre stata introspettiva ed egocentrica, per certi versi ancora adeguatamente adolescenziale, mentre in Life Without Sound – definito dalla stessa band un album più “politico” – Baldi sembra aprirsi al mondo, osservando e lasciandosi osservare, ed è grazie a questo sguardo più critico che un album sulla depressione riesce ad essere anche un campanello d’allarme e un’autoriflessione (“lately it’s time for coming out”, dice in Things Are Right With You). Nell’album vediamo alternati gli usuali ritornelli ripetitivi, antemici, pop a momenti più distesi, melodici, in cui la potenza strumentale si adegua al racconto laddove questo ha bisogno di più spazio: succede ad esempio in Enter Entirely e in Sight Unseen, che non rinunciano né al ritornello sing-along né ad uno storytelling più realista e meno metaforico (tanto che Sight Unseen lo dice chiaramente: “the following is an account of all that I have seen”).

Baldi non è distante dal realizzare un disco di pop-perfetto nella sua declinazione punk, ed in questo momento ha realizzato il disco post grunge e/o pop punk che tutti avrebbero voluto a fine anni ’90. Sono contento di constatare che la collaborazione con Wavves sia stata solo uno sfogo momentaneo e che in questo lavoro non ci siano, in alcun modo, nessun tipo di scorie. Il futuro dei Cloud Nothings è difficile da interpretare, la pulizia della voce potrebbe essere sempre più un punto focale del progetto e potrebbe andare sempre più a discapito dei pezzi tirati e aggressivi; il sogno però è una grande opera punk, dove Baldi possa liberare tutti i suoi spettri passati e presenti, per chiudere in bellezza una possibile tetralogia di splendidi dischi.

Tracce consigliate: Darkened Rings, Enter Entirely, Realize My Fate