Sulla figura di Mark Kozelek si potrebbe dire molto e nulla: discusso e discutibile per varie uscite che lo hanno reso un connubio non ben definito di umorismo di mezza età e troll dell’internet, Kozelek è soprattutto un cantautore dalla sensibilità ampia e schiacciante, ed è a questo che preferiamo associarlo. Non che le due cose – apparentemente contraddittorie – non possano convivere, anzi: i lati più cinici e aspri di Kozelek sono gli stessi che riescono a dare una rotondità tangibile alla poetica di Sun Kil Moon, che col settimo LP Universal Themes si rivela sempre in evoluzione su nuove, diverse traiettorie.
Per Sun Kil Moon sono ormai lontani i tempi dello slowcore e dei Red House Painters: dal 2012 Kozelek decide di cambiare rotta e abbandonare gli stilemi della scrittura folk, del racconto per metafore ed evocazioni, e invece si dà al “racconto” nella sua forma più canonica. Benji ne era l’esempio lampante: un testamento e una lunga riflessione su quel che era, e soprattutto su chi c’era. Universal Themes è il seguito naturale di Benji, un testamento ancora più viscerale e meno “ripulito” del suo predecessore. Mentre Benji, però, era un novero di emozioni “universali” raccontate in forma di narrazione romanzesca, Universal Themes costruisce la sua universalità sotto forma di diario, quasi un flusso di coscienza; mentre Benji era un romanzo di Dostoevskij, Universal Themes ne è la controparte novecentesca, quella del realismo isterico, quella delle descrizioni infinite, dei dettagli che costruiscono il tutto.
Allora come fanno, questi temi, a divenire universali? Kozelek parte da descrizioni minuziose di particolari apparentemente irrilevanti, che proseguendo con l’ascolto si rivelano essere le colonne portanti di situazioni, relazioni e evocazioni – un espediente per fare un giro nella mente tortuosa di Kozelek e darci un assaggio del suo passato e soprattutto del suo presente. Il mazzo di fiori ad una ragazza conosciuta sul set di Youth di Sorrentino, un opossum morente, un giovane indiano in un drugstore, incrociare Robin Williams: quelli che sembrano elementi futili aggiunti per accumulazione servono per ricordarci il motivo per cui sono stati utilizzati. In Birds of Flims Kozelek fa un elenco dettagliato di tutti gli incontri avvenuti sul set del film, il tutto per sottolineare quanto avesse nostalgia di casa; l’opossum morente il giorno di Pasqua è un’occasione per riflettere sulla fugacità della vita (The Possum); la paura e l’ansia da prestazione del commesso indianoinvece si riflettono in Kozelek quando l’amico Ben Gibbard gli chiede di suonare con lui (This Is My First Day and I’m Indian and I Work at a Gas Station); infine, in Little Rascals, il breve incontro con Williams serve a rievocare l’ex ragazza di Kozelek, morta anche lei precocemente a soli 34 anni (“When I’m feeling overwhelmed and things are stacking up in mind / her picture’s always near me, and I look at it every day of my life”). Universal Themes si sofferma su elementi emozionali, ma non manca mai di mostrare i suoi lati cinici (che tuttalpiù rendono ancora più godibili e verosimili quelli emozionanti): in Cry Me a River Williamsburgh Sleeve Tattoo Blues, Sun Kil Moon si lamenta di chi si lamenta, impersonando un fan (“they wouldn’t play my favorite tunes / it’s 2012 but I like the ones from 1992”) e lasciandosi andare ad un attacco sfrenato contro lo snobismo di chi ha sempre avuto la strada spianata.
Piccoli e grandi temi si sommano e mescolano in una narrazione longitudinale, alla quale gli elementi musicali si sottomettono. Brani come The Possum superano i dettami e la struttura della canzone pop, asservendosi alla metrica di Kozelek e inasprendosi o addolcendosi in base alle armonie vocali da seguire; in With a Sort of Grace I Walked to the Bathroom to Cry, uno degli episodi più drammatici di tutto il disco, la chitarra elettrica dà poi spazio a una coda più tradizionalmente à la Sun Kil Moon, mentre in This Is My First Day c’è un leggero synth che fa da sfondo a Mark mentre canta dell’amico Ben. Unici momenti di puro sfogo musicale sono gli intermezzi strumentali come in Little Rascals dove, tra un verso e l’altro, Kozelek strimpella la chitarra – intermezzi che spesso sembrano non avere alcuna relazione col filo armonico del brano stesso.
E allora ricostruiamoli con Sun Kil Moon, questi temi universali: il dramma della mezza età, la bellezza e brevità della vita, l’amore per la compagna Caroline (“it fills my heart with joy / though I know it’ll all end someday”), l’importanza dei rapporti umani, l’abbandono di quel che non è genuino. Insomma, magari voi vi sarete soffermati sul bacio rubato a Rachel Goswell nel backstage di un concerto, o alle metriche rivisitate e confusionarie, ma qui c’è tutto, e Kozelek ce lo dice lui stesso quanto siano importanti le piccole cose per rendere un qualcosa “universale”: “I remember when I first heard Led Zepplin’s Tea for One / laying by my bedroom window soakin’ up the warm afternoon sun ray / and in those minutes, hours, I was totally content / and I’ll take that memory to my grave as one of my happiest moments.”
Insomma sì, in Universal Themes c’è tutto. Eppure riesce a rimanere un’opera completamente unica e personale, al di fuori di schemi e convenzioni stilistiche. Mark Kozelek ha capito di poter fare tutto quel che vuole, e quando fa sul serio lo fa maledettamente bene.
Tracce consigliate: Garden of Lavender, Birds of Flims, With a Sort of Grace I Walked to the Bathroom to Cry