honeybear

C’è qualcosa di vagamente ironico nello scoprire che uno degli album più sinceri e schietti del 2015 porta la firma di un alter ego. Anticipato da una titanica performance al David Letterman Show, da un finto leak e da svariati trailer lisergici, l’ultima fatica di Father John Misty, al secolo Josh Tillman, è un lavoro interessante e degno di attenzione.
A differenza del precedente Fear Fun, I Love You Honeybear, risulta essere esplicitamente più personale, meno criptico e smaccatamente pop, un lavoro nel quale è possibile scindere Tillman dal suo moniker, che a quanto ci è dato sapere, è stato ispirato dalla rottura con i Fleet Foxes (gruppo nel quale militava in veste di batterista sino al 2011) e da un uso smodato di funghetti allucinogeni.

Nonostante le tematiche oscure, melodrammatiche e intense, non si ha mai la sensazione di ascoltare un audiolibro di Schopenhauer, grazie all’apparente cazzeggio e al timbro vocale di Tillman che ci riportano ai fasti dei crooner americani degli anni Settanta. Tutto ciò appare lampante in Bored in The Usa, ballad delicata, affresco dell’American way of life in salsa moderna, tra mutui subprime, antidepressivi prescritti come se piovesse e la critica di una società oltremodo consumistica, dove la disillusione dell’autore si condensa in un crescendo liberatorio: “Save me white Jesus!”.
Ispirato dalla moglie Emma, Father John predilige spesso il privato all’invettiva: Chateau Lobby #4, impreziosito dagli inserti mariachi nel finale, così come Strange Encounter e When You’re Smiling And Astride Me sono gemme melodiche incastonate in arrangiamenti curati in maniera incredibilmente meticolosa, grazie all’apporto di archi, cori ed assoli di chitarra maledettamente ignoranti: brani che non sfigurerebbero nel repertorio di Lennon. Ed è proprio qui che si palesano le evidenti diversità con Fear Fun, che appariva più legato al mondo del country-rock, nonchè decisamente meno elaborato dal punto di vista della produzione. Dopo la parentesi elettronica di True Affection, in curiosa antitesi con il testo (“When we can talk with the face, instead of using all these strange devices?”), The Night Josh Tillman Came To Our Apartment mette apertamente a nudo tutte le debolezze dell’autore, pur senza perdere la sua vena umoristica : “She says ‘like literally’ music is the air she breathes, I wonder if she even knows what that word means,  well it’s ‘literally’ not that”.
E ancora tutte le insicurezze di Tillman vengono a galla nell’epico climax acustico di Holy Shit: “Love is just an institution based on human frailty”.

Profondo nei testi, quanto estroverso e autoironico nelle performance, con quell’immagine a metà tra Gesù e un Jeff Bridges in preda a trip allucinogeni, Father John Misty riesce a descrivere il suo mondo, destreggiandosi tra mille contraddizioni, evitando scientemente di dare risposte semplici agli ascoltatori, quasi esorcizzando i suoi demoni, ergendosi financo a guru musicale, un ruolo che recentemente è stato troppo spesso delegato a rapper, e che riacquista rilevanza nel mondo del cantautorato grazie a questo lavoro sontuoso, probabilmente il migliore della discografia di Tillman.

Tracce consigliate: Bored In The USA, Strange Encounter, Holy Shit.