All’uscita dei due singoli (Bobby e Proud), dialogavo con un’amica del fatto che Alex G stesse effettuando un passaggio verso un certo folk cantautoriale e country rock, sviluppando una sua personalissima divagazione al genere americana. Il nostro pensiero aveva una falla importante: G non ha mai dimostrato il volere di avere un’idea omogenea, ed anzi, la ricerca di un’anima univoca su dei pezzi eterogenei sono la chiave di volta di questa sua nuova uscita.

Rocket segue quel filone dell’enciclopedia lofi che ha fatto più o meno parlare di se in questo ultimo lustro (il Porches di Slow Dance In The Cosmos, Teen Suicide, Elvis Depressedly, Car Seat Headrest, Frankie Cosmos, Mitski, Jay SomLVL UpGirlpool), progredendo verso la nicchia più sperimentale e apparentemente senza freni di Sam Ray, mantenendo, nonostante ciò, un forte legame con i pionieri degli anni ’90-’00 (Malkmus, Pollard, Elverum, Kaplan). Il pezzo d’apertura Poison Root sembra un outtake di Glow Pt.2 di The Microphones, mentre Alina è un pezzo rubato ai Yo La Tengo, arrivando a pezzi tipicamente di G, in particolare dagl’ultimi due lavori DSU e Beach Music: il pop solare di Proud, il dream lo-fi di Witch, l’intimità acustica di Big Fish e l’alt rock  di Judge. il disco è una continua girandola di stupefacenti cambiamenti: il jazz fusion di County (che rimanda ai Doors) e della finale Guilty (più vicina alla pura fusion, con tanto d’assolo di sax) si contrappongono a dei momenti puramente country come il singolo Bobby o la strumentale Rocket, e a Powerful Man, qualcosa di molto vicino ad una country ballad come se suonata da Kozalek.

Il momento più alto del disco è la parte centrale formata da Horse, Brick e Sportstar, dove vengono riassunte tutte le capacità e potenzialità di G: Horse è una breve scheggia impazzita sfuggita ai Fuck Buttons, la successiva Brick è un noisy-industrial frenetico e ansiogeno che solo i Death Grips possono permettersi di fare, mentre Sportstar è una specie di omaggio a Frank Ocean (Alex G ha partecipato ai sui ultimi due dischi: Endless e Blonde): un vocoder molto simile a quello di Nikes di Ocean (eloquente il verso Let me tie your Nikes), su una base a pianoforte, feedback di chitarra ad impreziosire l’atmosfera ed una batteria in levare; uno sguardo verso un mare d’inverno.
I 41 minuti di Rocket non appesantiscono e scivolano via lasciando la voglia di riascoltare tutto nuovamente per la paura di essersi persi qualcosa di importante; nonostante il tutto possa suonare anacronistico, G riesce ancora a rendere tutto molto fresco grazie ad una maturità compositiva che riesce a rendere suo ogni genere approfondito.

Tracce Consigliate: Horse, Brick, Sportstar.