Essere anticonformisti e farlo bene. Tira una bella aria a Manchester, la stessa che nonostante la notizia di un eventuale ritorno (no non restituirà più i Wu Lyf) lascia soltanto che la mente apra le porte alla spontaneità melanconica di GREATWAVES e MONEY, di un mondo in cui “Dio è morto, è un peccato”. Ha molto di spirituale The Shadow Of Heaven, e non sono solo i testi che colgono l’essenza, è la forte personalità di Jamie Lee che a modi Morrisey entra con la sua voce tra nuvole sonore e chitarre monocorde, esternando un lieve mal d’essere come se Bradford Cox abbia improvvisamente cambiato voce.

Fisicamente il ragazzo è ok, un pò ossessionato da tematiche filosofiche quali nichilismo esistenziale (argomentazione che approfondisce soprattutto nei live con lunghi monologhi e chiacchierate) centrale in questo lavoro, che apre le porte del paradiso di un dio morto giovane per poi indirizzare l’anima in uno spazio infernale sanguinoso. L’esperienza spirituale si amplifica nei passaggi che lasciano speranza, all’amore di Who’s Going To Love You Know o alle sensazioni, i colori, gli odori dei Blebell Fields che si divora il math rock eccentrico dei Foals, lasciando che il profilo introspettivo di Lee emerga come un fiammifero destinato a spegnersi.

La musica dei MONEY fluttua nell’aria e con lei il reverbero etereo di So Long (God Is Dead), il romanticismo viscerale di Goodnight London, la solenne discesa negli inferi di The Cruelty Of Godliness: The Shadow Of Heaven è un disco degno di esser ascoltato e assorbito, con i suoi disturbi d’umore e i suoi impulsi passionali, se pur giovanili e talvolta fin troppo malinconici, meritevoli.

Tracce consigliate: So Long (God Is Dead), Hold Me Forever