L’ultimo film di John Carpenter è uscito nelle sale ormai più di 10 anni fa e normalmente si direbbe che il regista è “sparito dalle scene”, ma nel caso di Carpenter sarebbe l’affermazione più inesatta. Lasciata da parte (momentaneamente?) la macchina da presa, l’attenzione del baffone più figo del cinema si è concentrata sulla musica, l’altra passione che lo accompagna da sempre, tanto da comporre in autonomia quasi tutte le colonne sonore dei suoi film (ne rimangono fuori 4, tra cui uno dei più famosi: The Thing).

Fare musica per Carpenter è più semplice di girare un film, sicuramente meno stressante, e lo considera tendenzialmente un procedimento più “istintivo”, quando invece dirigere è più una questione di comunicazione, di dire alla gente cosa fare, un processo da lui stesso definito simile a “fare l’allenatore di una squadra di basket”. È così che Carpenter si è creato una seconda carriera di culto, con un primo album accolto alla grandissima, un secondo molto bello in cui svaniva l’effetto sorpresa e un progetto antologico di recupero delle vecchie colonne sonore, quelle che insieme alle pellicole l’hanno portato qui e ora.

Se escludiamo dall’equazione la colonna sonora dell’ultimo Halloween (più un remake che un album di inediti), sono trascorsi 5 anni tra questo Lost Themes III: Alive After Death e l’album precedente. La band dietro agli strumenti è sempre la stessa (e qui anche in copertina): ad accompagnare Carpenter ci sono il figlioccio Daniel Davies – già in alcune band hard rock e figlio del chitarrista dei Kinks Dave Davies – e Cody Carpenter, progenie diretta di John, attivo anche con il progetto solista synthpop Ludrium e con mille altre cose, tra cui una fighissima colonna sonora chiptune per un finto videogioco. Il piano è sempre lo stesso: Carpenter senior detta la linea melodica e l’atmosfera del pezzo, Carpenter junior ci crea attorno l’ambiente sonoro, Davies aggiunge dei riff belli saturi ad impreziosire il tutto. L’idea musicale di John Carpenter parte prima di Dark Star (1974) e non ha avuto chissà quale evoluzione, ma si è affinata col tempo e ha trovato ora una chiave che la rende più ricca, la valorizza, pur mancando la controparte filmica (a quello ci pensano i titoli, meravigliosamente retrò nei loro nomi orrorifici).

Come con i due precedenti Lost Themes, anche questo terzo capitolo suona come l’ideale colonna sonora di una pellicola che non vedremo mai, ma ogni brano include la sua bella dose di nostalgia per gli appassionati, e non potrebbe essere altrimenti. La finale Carpathian Darkness strizza l’occhio a In The Mouth Of Madness, Weeping Ghost troverebbe facilmente un posto in Escape From New York, mentre l’opener Alive After Death richiama il periodo di Halloween e The Fog. Non è un greatest hits del suono dei suoi film, non sia mai: mancano le atmosfere urbane di They Live e quelle sacro-profane di Prince Of Darkness, ma in compenso ritroviamo i beat martellanti che ci hanno fatto compagnia negli altri album, anche se in un caso accompagnano il pezzo meno riuscito del lotto, la kraftwerkiana Cemetery.

Lost Themes III: Alive After Death dimostra ancora una volta il talento di Carpenter nel creare mondi immaginifici partendo da pochissimo; gli stessi mondi che ancora oggi mantengono viva l’influenza sulle nuove leve e su buona parte di ciò che oggi è cool o si ispira agli anni ’80 (Turning The Bones pare quasi fare il verso alla OST di Stranger Things, che a sua volta fa il verso alle OST di Carpenter).
Nonostante un mondo ancora più spaventoso del previsto, stavolta non c’è nessun alieno tramutato alla The Thing od occhiali da sole che cambiano la percezione della realtà come in They Live: è il solito disco del solito Carpenter, e suona da paura.

Tracce consigliate: Alive After Death, Skeleton, Carpathian Darkness