Se il nome Hovvdy non vi suona familiare, non preoccupatevi. Si tratta di un duo texano attivo dal 2014 dedito a un indie-folk a bassa fedeltà e che pubblica le proprie cose su Double Double Whammy, forse l’etichetta migliore in cui pescare se vi piace il genere (le varie Frankie Cosmos, Mitski e Florist sono uscite da qui). Insomma, non preoccupatevi se non ne avete mai sentito parlare, perché è solo dal 2018 che il culto del nome Hovvdy ha iniziato a fare capolino dai soliti circolini indie nei meandri più oscuri di Reddit. L’album che ha iniziato a spargere la voce si intitola Cranberry, ed è un gioiellino lo-fi dalla produzione volutamente asciutta e dalle voci filtrate, come se stessi ascoltando i brani da una soffitta polverosa.

Il nuovo Heavy Lifter, uscito a neanche un anno di distanza, è un ennesimo gioiellino che farà felici gli amanti del genere. Copertina brutta abbastanza per essere quella di un album dei Built To Spill, malinconia a palate tipo una versione giovane dei Pedro The Lion, una delicatezza che a tratti ricorda il primo Elliott Smith e la scrittura perfetta per chi sente che Alex G con House Of Sugar sia diventato troppo sperimentale. Le coordinate tra cui ci muoviamo sono queste, la qualità dei due Hovvdy sta proprio nell’onestà brutale con cui schiaffano nelle orecchie dell’ascoltatore qualcosa che effettivamente non è niente di nuovo.

Heavy Lifter è rassicurante, un abbraccio caldo di chitarre e ritmiche soffici. Le voci di Charlie Martin e Will Taylor si alternano alla perfezione, risultando quasi indistinguibili, rendendo i due Hovvdy un’entità unica. Due ex batteristi con una passione particolare per la melodia, alla fine è di questo che stiamo parlando, e il percorso è in costante evoluzione. Dalle prime interviste, in cui amavano definire la propria musica pillowcore, alle recenti dichiarazioni d’amore per Charli XCX e la musica pop, dagli inizi con le voci registrate alla meglio su un iPhone all’inserimento di beat hip-hop e addirittura di voci pitchate. È il lo-fi bellezza, e ancora una volta niente di innovativo, ma gli Hovvdy lo fanno benissimo e Heavy Lifter suona alla grande.

Passiamo alle canzoni: 1999 è l’intro perfetto anche per un album dei Fleet Foxes, Mr. Lee ha inserti elettronici ed è forse il brano più uptempo mai scritto dal duo, forse insieme a Keep It Up, che ha una struttura più classica e si lascia cantare alla grande. A proposito: Cathedral si candida a diventare uno dei brani “con le chitarre” più belli del 2019, Lifted torna ancora una volta in territorio Fleet Foxes, mentre Pixie e la conclusiva Sudbury sono i brani più vicini alle ballate di Cranberry e a quel tipo di malinconia. Se amate Alex G e vi mancano le atmosfere di Rocket premete subito play su feel tall e sull’interlocutoria TellmeI’masinger, mentre attenti a Tools: nonostante l’abuso di vocoder ed effetti, rappresenta forse la svolta più probabile per gli Hovvdy del futuro e sapete cosa? Funziona alla grande.

E quindi? Disco bellissimo e arrivederci? Nì, nel senso che è tanto facile innamorarsi di Heavy Lifter come passarci vicino senza notarlo. Gli amanti del genere troveranno un rifugio sicuro in cui tornare ad ogni nuovo disco cristiano di Kanye West, mentre chi se n’è sempre tenuto lontano non inizierà ad appassionarsi alle chitarre a bassa fedeltà da qui. Chi ama la malinconia, le chitarre leggere, le voci masticate appena e melodie capaci di insinuarsi sotto pelle rischia di trovarsi davanti a un probabile disco del cuore. Il restante 99,8% dell’umanità può continuare a dormire sonni tranquilli anche senza pillowcore.

Tracce consigliate: Cathedral, Keep It Up, feel tall