Ogni viaggio è un’esperienza, un consegnarsi a memorie e posti che si rivedranno solamente in fotografia o in cartolina, se si è ancora legati ad uno degli strumenti più popolari fino a qualche anno fa per ricordarsi di quello che si era vissuto. Da ogni viaggio o più banalmente da ogni esperienza di vita impariamo diverse cose, ci lasciamo alle spalle persone ed emozioni e ci facciamo marchiare a fuoco da tutto quello che ci fa sentire vivi.

Quello che i BROCKHAMPTON ci consegnano con il loro ultimo disco è proprio questo: un atto di redenzione sotto forma di viaggio che ripercorre le vite degli stessi componenti del collettivo di San Marcos nel Texas.

Nonostante i temi possano sembrare triti e ritriti (solitudine, droga, ricerca di qualcosa) la loro forza rimane proprio quella di essere un gruppo disomogeneo di persone e di avere a disposizione quindi tante sfaccettature dello stesso argomento: l’aggiunta nel roster di Victor Roberts nella canzone che chiude il disco intitolata con il nome e cognome del nuovo artista richiama e delinea quanto detto, aggiungendo quel quid che smentisce il solito dubbio che si ha quando si parla di rap, ovvero quello di parlare sempre della stessa roba. 

Il tempo deterrente che il gruppo si è preso dopo aver pubblicato SATURATION I, SATURATION II, SATURATION III e iridescence nel giro di poco tempo è servito a mettere ordine nelle penne e soprattutto nella testa degli autori, con una maturità notevole nei pezzi più impegnati come NO HALO, DEARLY DEPARTED e BIG BOY.

Una particolarità che rende comprensibile quanto detto è il collegamento fatto proprio tra DEARLY DEPARTED e BIG BOY: nel primo pezzo una strofa di Kevin Abstract recita “Who am I? Who am I? Who am I?“e nel secondo brano troviamo il tormento di non aver trovato una risposta “Who the hell am I?”, quasi come se la comprensione della propria psiche e delle proprie azioni sia un qualcosa da voler ottenere anche con la forza, stagnandosi come una volontà da avere sempre in mente.

Il voler cercare qualcosa, il volersi sentire vivi ritorna spesso come tematica ed è una delle due parti che più contraddistinguono GINGER in preda ad un dualismo tra ricerca di sé stessi e ricordi della propria infanzia che viene ben miscelato anche dalle stesse basi dei due produttori, Kiko Merley e Romil Hemnani, spesso impeccabili e da promuovere a pieni voti.

SUGAR, ST. PERCY e I BEEN BORN AGAIN, nonostante possano sembrare abbastanza distanti fra di loro, sono dei pezzi complementari se li si ascolta assieme e non solo per la tematica che trattano tutti e tre (i valori che si hanno da ragazzi e l’importanza di doverli rispettare anche da adulti) ma anche per come sono concepiti; sarà una casualità o forse no ma se riprodotti di fila hanno una chiave di lettura diversa rispetto a quella ordinaria e legata ad una singola riproduzione. 

L’album a volte urla senza far rumore, tra strofe che tracciano figure sporche in testa all’ascoltatore, dal sapore di riconquista e disperazione, figlie di quel sogno americano che attanaglia l’America di chi vuole farcela e di chi non vuole vivere senza mezzi termini. Potrebbe essere un errore banalizzare questo progetto e considerarlo non all’altezza di SATURATION II per così tanti vari motivi riassumibili in: i ragazzi sono incredibilmente cresciuti. I

Se ci fosse da farlo, darei il titolo di MVP a bearface, terribilmente diretto come sempre e d’impatto in ogni strofa scritta e cantata, mentre il premio per la migliore strofa va di diritto a quella di Joba in BIG BOY, riassumibile perfettamente nella sua parte finale:

Been wishin’ I could change
Hard to change my ways
Trained a certain way
Afraid of my own fate
Just another phase

Purtroppo non è tutt’oro quello che luccica ed alcuni pezzi, semplicemente, non funzionano nel contesto generale. BOY BYE ed il pezzo in collaborazione con slowthai, HEAVEN BELONGS TO YOU sembrano essere stati messi lì senza un motivo ben preciso, destabilizzando l’ascoltatore dopo due pezzi d’impatto come NO HALO e SUGAR. A volte l’essere in tanti non ripaga se questa corposità non viene utilizzata funzionalmente alla riuscita di un filo conduttore che possa evitare lo skip di determinati brani. 

I soliti dubbi prealbum mi avevano spaventato come sempre, quando deve uscire un progetto che, in un certo senso, deve risollevare le sorti di una band tendenzialmente non tenute a galla dal lavoro precedente (iridescence pecca spesso). 

Al primo ascolto ho tirato un sospiro di sollievo, conscio delle potenzialità di un discone in alcune parti e con margini di miglioramento in altre. Al banco degli imputati ci saliranno sostanzialmente la prossima volta, quando dovranno confermare o smentire quanto di buono hanno fatto vedere in un album che poteva anche essere inserito nelle nomination rap ai Grammys 2020.

Tracce consigliate: NO HALO, BIG BOY, I BEEN BORN AGAIN