I Bastille sono una band derivata dall’iniziale progetto solista del londinese Dan Smith, formatasi nel 2010 in seguito alla sua decisione di coinvolgere in esso i musicisti Chris Wood, Will Farquarson e Kyle Simmons. Verso la fine del 2011 la band è stata messa sotto contratto da Virgin Records, pur avendo pubblicato soltanto l’EP Laura Palmer, ed ora debuttano con questo primo LP, Bad Blood

Già dalla copertina del disco riusciamo ad intuire il target a cui mira il disco, considerando sia il tocco vintage donato all’immagine, che l’abbondante uso di triangoli (B∆STILLE, B∆D BLOOD): il sospetto di trovarmi di fronte ad un prodotto meramente commerciale destinato al folto pubblico indiminkia comincia lentamente a prendere forma, e di sicuro il fatto che Pompeii, l’opener dell’album, faccia capolino tra i singoli più venduti un po’ dappertutto (incluso il nostro paese) non contribuisce ad affievolirlo.

Tuttavia il mio compito è quello di recensire senza pregiudizi di sorta Bad Blood dal punto di vista prettamente musicale, ed è quello che lapalissianamente farò nelle prossime righe.

Dopo aver premuto play, però, i sospetti diventano certezze: la prima vera prova discografica dei Bastille è un’accozzaglia di tracce dalla scarsa coerenza interna, molte delle quali erano già state pubblicate nei vari EP e singoli già usciti, con l’aggiunta di inediti quantomeno trascurabili.

Pompeii, diventata ormai una hit delle charts mondiali, è un frullato di sintetizzatori molto catchy gonfiato ulteriormente da vari “Ehhh ehhh” e “Ohhh ohhh” che farebbero invidia anche al peggior Blasco. Things We Lost In The Fire, se possibile, è ancora più banale, e la voce di Smith non fa nulla per evitarlo, avendo un timbro che ricorda in modo inquietante quello dei più classici cantanti da boyband; la title-track propone invece beat sintetici ipertrofici accompagnati dai soliti e ridondanti coretti.

Overjoyed mostra finalmente i primi segnali di personalità della band, sfoderando un substrato electro-pop che ben si sposa con la vocalità di Dan; These Streets e Weight Of Leaving pt.II (inclusa nella tracklist di FIFA 13) risultano, pur nella loro pomposità, fresche ed orecchiabili senza però negare riferimenti a gruppi come gli Everything Everything o, nella sezione ritmica, a certa world music.

La parentesi positiva è però destinata a chiudersi presto, perché con Icarus si ricade nel baratro della ridondanza fine a se stessa, e la ballad ricca di archi Oblivion non è certo memorabile. Flaws abusa di nuovo di sentimentalismi più che banali (there’s a hole in my soul, I can’t fill it, I can’t fill it, and there’s a hole in my soul, can you fill it? can you fill it?) mentre Daniel In The Den riesce finalmente ad essere ciò che ogni traccia del disco vorrebbe essere, ossia una bella canzone baroque-pop.

Considerando però che con le ultime due tracce, Laura Palmer (povero Lynch) e Get Home, si torna al piattume e ai coretti di inizio disco (mai spariti del tutto), Bad Blood si dimostra una delle più grandi delusioni del 2k13, un album che non ha struttura ma si limita ad essere una raccolta di singoli, EP e poco altro, un’operazione commerciale organizzata da una major che avrà di sicuro successo tra i ragazzi con le camicie a quadretti ma che non ha davvero nulla da dire.

Tracce consigliate: Weight of Living pt.II