TWO DOOR CINEMA CLUB

BEACON – Kitsuné

 

Era il 2010 quando alla fine della lunga ondata di guitar band che hanno imperversato per buona parte degli anni zero, la Kitsuné aveva scovato e lanciato i Two Door Cinema Club: qualche singolo terribilmente catchy capace di mischiare praticamente ogni gruppo e cliché dell’indie più mainstream, e per qualche mese eccoli trasformati nella band dell’anno, con qualche legittimo dubbio sulla possibilità di durata del loro successo. Ma ecco che negli ultimi due anni succede la mezza rivoluzione, di colpo le chitarre iniziano a scomparire dai palchi, barattate in tutta fretta con synth e laptop, e le nuove band in formazione classica capaci di farsi notare iniziano a contarsi sulle dita di una mano. E quando le novità vengono da altre parti, che rimane da fare agli amanti delle chitarrine suonate sottobraccio? Non resta che aspettare i follow up album di quei gruppi che ce l’hanno fatta a uscire in tempo utile, sperando che non tradiscano il loro passato cercando di reinventarsi in (a volte improbabili) altri modi. E dai 2DCC ce lo si poteva anche aspettare: già il primo album era venato di momenti e sprazzi di elettronica, seppur ordinati all’interno di una perfetta impalcatura indie pop, e la tentazione di lasciare sempre più spazio a certe sonorità in onore del New Hipster Order poteva essere forte. Invece, a sorpresa, in Beacon i suoni si fanno quasi più conservatori rispetto al debutto, chitarre e voce come protagonisti, il resto in secondo piano, con qualche piccolo spazio di novità relegato in poche canzoni. Uno di questi è proprio l’attacco della prima canzone (“Next year”), che sembra proprio un preludio a un cambio di rotta, prontamente smentito solo dopo pochi secondi, quando il pezzo si trasforma in un tranquillo pezzo indie rock della scuola più classica. Il disco procede poi abbastanza spedito, le canzoni sono esattamente quello che ci si poteva aspettare da loro, fino ad arrivare all’ostentato autoplagio in “Someday” (ok, “Something Good Can Work” era una gran canzone, una variazione sul tema era inevitabile), mentre appena prima qualche nuovo spunto viene da “Sun”, dove il basso e il sax riescono a creare un momento pseudo disco che si fa notare per lo stacco rispetto al resto delle tracce. Nella seconda parte del disco il ritmo rallenta, a partire dalla trasognata “The world is watching you”, per poi arrivare alle ultime due canzoni: “Pyramid”, con le sue strofe spigolose che poi esplodono nel ritornello, e in fondo “Beacon”, la title track. Questa è forse la traccia più imprevista dell’album, tutta atmosfera e riverberi: per certi versi un tentativo rispetto al resto, posta in fondo come a dirci che volendo i 2DCC sarebbero in grado di fare anche altro ma che, per ora, hanno preferito regalarci un altro rassicurante e ben fatto album pop. Un album che però non farà stracciare nessuna veste se non forse le camicette a quadri dei loro fan boy più incalliti.