everything-everything-arc-artworkEtichetta: RCA
Anno: 2013

Simile a:
Alt-J – An Awesome Wave
Mew – No More Stories…
Wild Beasts – Two Dancers

 

Dopo l’ottimo debutto del 2010 con Man Alive, candidato al Mercury Prize, erano alte le aspettative per il sophomore degli Everything Everything: il quartetto di Manchester ci aveva mostrato di sapersi destreggiare abilmente in un alt-pop venato di prog e di math, e con Arc sono chiamati a confermarsi e dare una svolta alla loro discografia.

Il loro atto secondo ricalca le complesse geometrie strumentali del primo, seppur donando tinte un po’ più scure all’insieme finale. Attenzione però: i loro pezzi rimangono un caleidoscopio di suoni, melodie ed emozioni intrecciate tra loro, lungi da una svolta dark, ma venati stavolta da una lieve malinconia, forse segno di una maturità acquisita che non può che giovare alla riuscita dell’album.

Cough Cough, primo singolo uscito, è un’isterica pop-prog song in perfetto e schizofrenico equilibrio tra una meravigliosa sezione ritmica dominata da una linea di basso à-la Chris Squire (ma sorprendentemente catchy), iperattive melodie di sintetizzatore, cori a metà tra Alt-J e Wu Lyf e il falsetto soul di Jonathan Higgs. Il risultato è maestoso, e rispecchia ciò che avrebbero prodotto gli Yes ai giorni nostri. Kemosabe, secondo singolo, concilia l’influenza degli Yes con un’attitudine più r’n’b. Torso Of The Week è invece vicina ai Bloc Party, e conferma la capacità della band di scrivere testi quantomeno particolari, aspetto che si ripete in quasi tutto l’album. Duet è una dolce pop song che deve molto ai primi Arcade Fire e un po’ ai Gentle Giant, ribadendo la loro simpatia per il prog barocco di fine anni ’70, soprattutto negli intrecci melodico-vocali. Choice Mountain è un pezzo che non sfigurerebbe in un disco dei Radiohead post-2000, complice un Higgs più yorkeano che mai; Feet For Hands è una delle perle di Arc: una chitarra acustica intervallata da un riff symphonic metal (?!?), un ritornello vellutato e malinconico, e una chiusura ancora più triste, con Jonathan che sussurra “I won’t forget you…”.

Undrowned e Arc non offrono colpi di scena. Armourland è invece un pezzo pop / r’n’b che ricorda parecchio un animale da chart come Robbie Williams, tradendo un po’ le ambizioni mainstream degli EE.

“You’ll take the family, I’ll take the car” è il verso che introduce The House Is Dust, brano tetro ed emozionante che però, soprattutto nel finale, diventa una citazione ai limiti del plagio ancora dei Radiohead. Radiant si fa apprezzare col tempo, alternando ritornelli alla moda con ritmiche in stile Talking Heads di Speaking In Tongues; The Peaks è una delle migliori prove vocali della band: falsetto etereo e penetrante, cori coinvolgenti e ben dosati, testo su problematiche di comunicazione sociale e arrangiamento ridotto all’osso valorizzano un brano che ricorda in alcuni passaggi gli Alt-J. Il disco si chiude con Don’t Try, brano spigoloso e nevrotico con un finale corale e dreamy.

Arc è una prova di alto livello, caratterizzata da una grande coerenza formale e in parte stilistica, e da una grande attenzione rivolta all’equilibrio tra i pezzi (quasi tutti al di sotto dei 4 minuti) e alla cura dei particolari. Degna di nota è anche la tecnica esecutiva dei quattro, insolita per una band pop, che dimostra di avere anche grandi doti di songwriting, componendo brani orecchiabili pur mantenendo arrangiamenti stratificati, complessi e non scontati. Ciò che frena un po’ le ambizioni degli Everything Everything è la moltitudine di citazioni, che spaziano dal prog anni ’70 all’alt-pop di oggi, ridimensionando l’originalità dell’opera, che rimane comunque una delizia per le nostre orecchie.

Tracce consigliate: Cough CoughFeet For Hands