As Days Get Dark è un titolo perfetto per il disco di una band costantemente affiancata alle usanze e ai personaggi del suo luogo d’origine: Glasgow. L’idea letterale che questo titolo pone, dell’incombere del buio nel compiersi di una giornata, fa quasi sentire l’acqua alla gola ai tanti che vivono al Nord, in luoghi come, appunto, la cittadina scozzese. Sono tanti gli emigrati che porteranno infatti sulle spalle la pesantezza degli inverni passati, il buio pesto che già da ottobre sembra non lasciare alcuna via di fuga. Quanti anziani nei pub della città avranno spaventato i nuovi arrivati in Scozia con la frase: “aspetta a quando arriverà gennaio”, pensando al mese più freddo e triste a cui i glasvegiani vanno incontro.
Per i tanti che ne risentono, l’arrivo del buio in un luogo simile ha un peso non di poco conto nella vita di tutti i giorni.
Il buio in questione decide tutto: in cosa ti trasformerai durante il letargo, quanta energia dovrai accumulare prima che esso inizi, chi sarai una volta che tutto ciò finirà. Per quanto poi ti regali del tempo per capirti meglio, il buio ti lascia anche abbandonato e lontano dal mondo che c’è fuori.

Aidan Moffat e la sua retorica saziano questo titolo di mille motivi e sensazioni diverse, recuperando i sedici anni di silenzio con un disco che suona tutt’altro che costretto: nasce per un motivo e mostra a tutti la sua necessità. Calibrando critiche ironiche a momenti completamente deprimenti, la narrativa iper-realista degli Arab Strap traina sempre il carro, avvalendosi della stessa formula musicale che suona sempre ottima. Ancora imponibile in contesti post-rock, questo ritorno nelle scene ha molta programmazione dietro, musicalmente brulica di patterns e ama l’industrial in Kebabylon, ha attimi post punk (Here Comes Comus) e si rinnova con archi e fiati in Sleeper che, appunto, invece di suonare come il post rock orchestrale dei GY!BE, trova più similitudini con l’ultimo Leonard Cohen.

La voce di Moffat ci ricorda però dove questo disco va a parare. Strutturalmente, molte canzoni del progetto si basano sull’aspettativa di un ritornello che spacchi il continuum creato dalla band e la sua storia, una volta che questo raggiunge il limite ecco che idealmente la gravità ci schiaccia sotto ogni tipo di peso, creando attraverso quella particolare eclisse del ritornello l’animo comune di As Days Get Dark.

Cosa rappresentano quindi le tenebre di questo disco? Quando prende il sopravvento anche dentro di te, il buio è facilmente accomunabile allo sconforto e alla caduta in uno stato depressivo e di perdita di senso.

So ends another clockwork day
Of worn out luck and waning click
The last awake, a door shut time
So ends another clockwork night

Accomunato ancora ad un singolo, il buio muta continuamente, in crescendo e diminuendo, sino ad arrivare ad apatie che nel loro processo stroncano Moffat che si racconta perso.

I balled in a ball on the kitchen floor
When living was too much
Pick a room, I’ve wept in them all
But I can’t tell you why
Tonight my eyеs are dry

Nell’arrivo del buio è cruciale la paura e se anche Aidan sembra conoscerla bene, ogni volta che si presenta si percepisce che il confronto con essa è difficile.

Se sembra che la questione ruoti solamente attorno a pensieri personali, la metafora diventa poi applicabile anche a ciò che circonda l’autore, rendendo il passaggio dal giorno alla notte anche una questione collettiva e universale.

Meschini come il buio sono infatti i machi di I Was Once A Weak Man:

He never uses names
That’s too dangerous
He calls them baby and sweet cheeks and hot stuff and darling
And he’s a master of the feigned surprise

We are sportsmen, we are conquerors
The day is disease and night the cure

E gli abitanti di Kebabylon, una luogo che emana puzza di tristezza da ogni tombino:

Sifting through the streets of Kebabylon
Chasing down the ghosts of indiscretion and lust
These empty, filthy streets are where I belong
Down among the devilry, down in the dust

In questo passaggio fittizio dal giorno alla notte, ciò di cui si ha più paura è la solitudine che arriva insieme al buio. Contemporaneamente, ogni concetto dietro questo disco è dedicato a chi, dentro di sé, è solo.

Nel mondo di tutti i giorni invece, che sia a Glasgow o chissà dove, nel mese più freddo e buio dell’anno, quando si trova la forza di uscire dal proprio letargo, si è capaci di capitare in luoghi in cui l’ambiente esterno riesce a cadere in secondo piano, dove il raduno fa nascere dei contesti capaci di mettere da parte alcune sensazioni personali di solitudine esistenziale.
Trovandosi per pura esigenza, liberandosi dalle pesantezze naturali che esistono all’esterno, sia tu che l’anziano con la pinta in mano vi trovate nello stesso luogo per sfuggire dal buio, dando così ad una visione della vita deprimente una sensatezza romantica. Per questo, As Days Gets Dark suona come un ritorno nelle scene spontaneo e non forzato.
Amabile per la sua natura casuale, il disco si racconta all’interno di un contesto terribile, ci narra di terribili situazioni, ma lasciando che la propria purezza crei una piccola opera d’arte.

Tracce consigliate: Compersion, Pt. 1, Tears On Tour