I ricordi del Sziget Festival sembrano non volersi ancora affievolire, e allora giusto per rimembrare quella settimana passata nella piccola isola felice di Obuda, ecco l’ultimo incontro che abbiamo fatto in quei giorni meravigliosi.

Sono proprio loro, o perlomeno in formazione ridotta, ad attenderci nella sala intervista del Press Office per ben 6 preziosissimi minuti di tempo: Gus Unger Hamilton e Joe Newman, rispettivamente tastiera e chitarra/voce di una delle band che più ci sono piaciute negli ultimi anni, gli Alt-J.

Candidati per i Mercury Prize di quest’anno, sono tornati con il loro terzo album Relaxer, che ha scatenato non poche critiche nei confronti della band, che nel 2012 esplose negli auricolari di tutti con il primo album in studio An Awesome Wave. Durante il loro concerto al Sziget Festival, nel pomeriggio sul main stage si sono comunque aggiudicati una delle performance migliori di tutta la settimana.

Da questa breve chiacchierata ci hanno fatto capire un sacco di cose: la fama è un’arma a doppio taglio, dietro certe canzoni ci sono delle storie che mai avremmo immaginato ma, soprattutto, che anche i cantanti entrano in paranoie vere.

DW: Ciao ragazzi come state? Parlando del nuovo album Relaxer, domanda d’obbligo: cosa è cambiato dai lavori precedenti che hanno avuto un successo incredibile? Contenti per la candidatura anche quest’anno per i Mercury Prize? È stato un buon riscatto?

GUS: Cosa c’è di diverso? Beh, letteralmente ogni singola canzone è diversa, basti pensare alla prima traccia dell’album (3WWW n.d.r), è completamente diversa dalle prime tracce degli altri album, sì decisamente canzoni molti diverse.

JOE: Credo che sia molto difficile rispondere a questa domanda, è stato una specie di cambiamento naturale, credo che non sapessimo neanche perché e come stavamo cambiando, fino a che le altre persone non ci hanno fatto notare che è era molto diverso rispetto a prima.

GUS: Per quanto riguarda i Mercury Prize, siamo rimasti davvero sorpresi di essere nella lista, il primo album (An Awesome Wave n.d.r) vinse, il secondo album (This is All Yours n.d.r) non venne inserito tra i candidati, quindi a questo giro non ci abbiamo neanche pensato più di tanto. Credo che questa candidatura significhi ancora di più questa volta per noi; con il primo album che vinse il Mercury Prize fu incredibile, fu la cosa migliore che ci potesse capitare, ma allo stesso tempo il 2012 fu l’anno più assurdo che abbiamo passato: siamo passati dall’essere nessuno, al fare un album in studio e all’avere tutta questa popolarità all’improvviso e vincere quel premio fece parte di quel periodo pazzo. Ora che siamo al terzo album, dopo aver avuto un primo album così di successo, l’atmosfera è diversa, ci poniamo molti più dubbi esistenziali come ad esempio “Siamo ancora una buona band?” “Alle persone interessa ancora? Continuano ad ascoltarci?” “Saremmo sempre etichettati in base al nostro primo album?”.

JOE: Più tempo passi sotto alla luce dei riflettori, più in giro troverai materiale in cui leggi di persone a cui non piaci, persone che provano a screditarti, o persone che hanno opinioni molto forti sul perché tu non dovresti fare musica, ed è davvero dura, ti senti davvero abbattuto! Ecco perché questa candidatura ai Mercury Prize è come se lavasse via tutto questo…

DW: Parlando di DeadCrush e Adeline due canzoni del nuovi album, volevamo sapere se ci sono delle storie particolari dietro questi due pezzi? Come sono nate, vista la loro unicità?

GUS: DeadCrush è venuta fuori da una jam session, proprio alla fine della scrittura del secondo album stavamo semplicemente facendo jamming e sono venuti fuori questi 9 minuti di musica veramente fica e ci piacque molto, e riascoltandola più volte dopo ne siamo rimasti affascinati.

JOE: L’abbiamo registrata sul mio telefono e ho pensato fosse stata una jam session un po’ caduta nel dimenticatoio, quindi quando l’ho riascoltata sul telefono ho pensato subito che avesse del potenziale; ho iniziato poi a sviluppare un interesse nella carriera della fotografa Lee Miller, che fu anche reporter di guerra e ho iniziato a fare ricerche su di lei, ed era una fotografa veramente incredibile durante la seconda guerra mondiale, era la corrispondente di guerra per Vogue, ed inoltre era stata una modella in passato: naturalmente mi sono come “innamorato” di lei. Ed è per questo che è diventata la mia DeadCrush, cioè mi ero preso questa cotta tremenda per lei, peccato sia ahimè già morta. E quindi dissi alla band “ragazzi credo che lei sia la mia DeadCrush, qual è la vostra?” Quella di Gus è Anna Bolena, quella di Thom è Sylvia Plath e ci abbiamo scritto una canzone sopra. Mentre Adeline è la storia di una donna… in pratica di un diavolo della Tasmania che si innamora di una donna.

DW: Avete sentito l’assenza Gwil (bassista dal 2007 al 2014 n.d.r) nella creazione di questo album?

GUS: Bhe questa è già la seconda volta che registriamo un album senza di lui, quindi in pratica abbiamo più album senza Gwil che con Gwil. Credo che abbiamo sentito la sua mancanza di più durante questo album, Gwil è una persona molto razionale, una persona molto brava a risolvere i battibecchi, solitamente sempre avendo la meglio, ogni tanto penso che questo ci manca.

JOE: ci mancano soprattutto le nostre chiacchierate intellettualoidi, su sistemi politici e quant’altro (ridono entrambi, di gusto n.d.r)

DW: Ultima domanda, le copertine degli album? Ispirazioni? La copertina di Relaxer è venuta fuori da qualche sorta di videogame, e se soprattutto c’è un fil rouge con tutte le altre copertine degli album precedenti?

GUS: Bhe l’idea della copertina viene da un videogame cult giapponese degli anni ‘90 chiamato LSD Dream Emulator, e l’abbiamo trovata un’immagine davvero interessante, quasi ambigua, un’immagine che volevamo ci intrigasse, ci piaceva l’idea del videogame quando abbiamo visto che l’album stava venendo fuori come una sorta di gioco dove esplori, camminando, posti diversi, zone diversi, mondi diversi. Non ha un collegamento preciso con gli album precedenti, è stata più una sorta di partenza, abbiamo aggiunto del testo alla copertina questa volta, cosa che non avevamo mai fatto prima, e quando lo abbiamo visto abbiamo pensato “that’s sick”!

JOE: Non c’è mai stato un collegamento comunque tra i vari artworks degli album. Ogni disco ha la sua unicità, la sua personalità.

GUS: Potremmo dire che tutti e tre sono piuttosto astratti.

Good luck guys, anche se a noi un po’ il 2012 manca.