È sabato sera, fa freddo, sono quasi le undici e un certo viavai si sta concentrando in via di Portonaccio, a Roma. Molte macchine svoltano per via Giuseppe Mirri, vanno inequivocabilmente al Monk, per un paio di ragioni: c’è poco altro in fondo a Giuseppe Mirri se non il Monk, e stasera al Monk c’è la seconda serata annuale di Manifesto. La prima era andata molto bene e c’eravamo divertiti parecchio.
Anche stasera la line up è di tutto rispetto. Aprono i Civil Civic, duo di australiani emigrati in Europa, e salgono sul palco accompagnati dal misterioso terzo membro del gruppo, The Box, ovvero un case pieno di moduli sormontato da due controller da cui i due gestiscono la parte ritmica e i sintetizzatori che fanno parte stabile nei pezzi della band. Più o meno cinque anni fa hanno rilasciato un disco divenuto presto di culto, Rules; è di quest’anno invece il nuovo The Test, e i due aprono con pezzi dall’ultima uscita. C’è una piccola legione di fan accaniti dei Civil Civic davanti al palco che si diverte molto nell’elettropop degli australiani che sanno scaldare benissimo l’ambiente. Il loro accento aussie non è completamente comprensibile ai più ma quando partono i pezzi del primo LP come Airspray hanno già conquistato anche chi non li conosceva ed è venuto al Monk con orecchio curioso; tutti saltano allegri mentre i Civil Civic chiudono con il singolone Run Overdrive e salutano portando via The Box con loro.
La temperatura dentro il Monk si è fatta calda, il tavolo con tutte le macchine di Gold Panda viene messo in mezzo al palco e il pubblico rumoreggia un po’, poi l’inglese appare ed è subito strano: sul palco ha un enorme cappotto nero e uno zaino da fuorisede che sembra che dentro potrebbe contenere della vodka alla pesca. Sparisce un attimo, poi torna pronto a partire – senza zainetto fortunatamente. L’approccio al live set è autistico, ci impedisce di fare una singola foto decente perché si muove velocissimo tra le sue macchinette e non guarda mai il pubblico, ma anche perché parte con Metal Bird dall’ultimo Good Luck And Do Your Best e già stiamo ballando anche noi. Continua a estrarre pezzi dal cappello con Chiba Nights, la cui cassa dritta è impreziosita baroccamente con clap selvaggi. Dietro di lui scorrono le immagini del tanto caro Giappone che ha ispirato l’ultima produzione e lo splendido video di Time Eater; queste immagini poi lasciano spazio a caleidoscopi psichedelici quando dalle dita di Gold Panda partono brani meno recenti come You, che scoperchia il Monk. Sul locale scoperchiato l’inglese plana poi con la raffinata Time Eater, arricchita anche questa di percussioni sintetiche memori della garage, tenute belle serrate dalla cassa della 808. Tra un saltello e l’altro ci accorgiamo che sul palco, di fianco a tutti i suoi effetti, Gold Panda c’ha una tazza con del liquido, e speriamo fortissimo sia tè. Chiude il suo set con la bella Your Good Times Are Just Beginning riempito di percussioni a dita dal suo MPC, mentre sullo schermo appare la scritta “Good Luck And Do Your Best”, che è sì il titolo del disco e forse mera pubblicità ma ci piace pensare sia un augurio sincero; gli facciamo un grande applauso, se l’è meritato.
Foto: Remo Cassella x Deer Waves