Nel 2013 un gruppo scozzese pressoché sconosciuto ha aperto il concerto dei Depeche Mode a San Siro. Pochi mesi dopo, quello stesso gruppo sarebbe esploso sulle scene internazionali grazie ad un primo LP che perfettamente incanalava lo zeitgeist musicale del periodo: The Bones of What You Believe. Dalla seconda metà del 2013, l’Italia ha a lungo aspettato, invano, un concerto da headliner dei CHVRCHES, ma solo dopo la pubblicazione del terzo LP, Love Is Dead, le preghiere sono state accolte. 5 anni sono un’eternità ed è sicuramente un periodo sufficientemente lungo da rendere un gruppo irrilevante nel panorama musicale contemporaneo: Too late, motherfuckers!”, è questo il timore dei CHVRCHES, letteralmente espresso durante il concerto, consapevoli di presentarsi forse con troppo ritardo di fronte ad una piazza che li ha invocati a lungo. Fortunatamente, non è questo il caso: ieri sera, l’Italia ha accolto Lauren, Martin e Iain come le star che sono. 

In un mercoledì sera di un novembre particolarmente caldo, i riflettori sono puntati sul Fabrique di Milano, uno dei palchi che, dal 2014, accoglie in città le band più importanti al mondo. L’hype è concreto e il locale è già gremito prima dell’inizio dell’opening act: uno di quei live che non possono essere ignorati. Alle 20.30, Rosa Walton e Jenny Hollingworth, 2 ragazze inglesi poco più che diciottenni, si fanno strada sul palco accompagnate dalla batteria dell’unico membro della loro live band. Se il loro disco d’esordio, I’m All Ears, non ha faticato a riscontrare un meritato successo da parte della critica, si può dire che il titolo dell’LP sia anche stato il preludio della sorte che le avrebbe attese in tour: ad attendere le Let’s Eat Grandma, un Fabrique tutt’orecchi; situazione particolarmente inusuale, data la tendenza milanese di snobbare i gruppi spalla. I 45 minuti di esibizione volano tra tracce caratterizzate da piogge di synth, voci infantili (senza alcuna connotazione negativa) e intermezzi che generalmente si possano osservare all’interno dei cortili delle scuole elementari, ma che ieri hanno perfettamente espresso la spontaneità e la gioia che le Let’s Eat Grandma provano nell’esibirsi. Quello che abbiamo gustato, è un frutto forse ancora acerbo, ma che ha lasciato trasparire il sapore di una maturità che, una volta raggiunta, farà fare molta strada a Rosa e Jenny.

Alle 22 è l’ora del main act: quando calano le luci, il Fabrique inizia a rumoreggiare e accoglie l’ingresso dei CHVRCHES con un boato. Mentre Lauren occupa la posizione centrale del palco, con indosso il classico trucco sugli occhi e il tutù che caratterizzano le sue performance, le note di apertura di Get Out, il primo singolo tratto da Love Is Dead, riempiono il locale e fanno letteralmente scatenare il pubblico che da troppo tempo attendeva quel momento. Nonostante sia minuta, Lauren è una forza inarrestabile che, dal primo all’ultimo minuto, salta da una parte all’altra del palco, gira su se stessa e invita il pubblico a cantare con lei durante i ritornelli. La forza della sua voce è travolgente e se non fosse lei stessa ad affermare di essere vittima di un’influenza che l’accompagna da alcune date del tour, nulla farebbe pensare che ci sia qualcosa che non va. 

Nonostante la cantante storicamente ci tenga a chiarire che i CHVRCHES sono una band rappresentata in egual modo da tre membri essenziali: lei, Martin e Iain, è chiara l’importanza di Lauren durante i live: la cantante funge infatti da leader capace di tenere il palco e di convogliare l’attenzione del pubblico sul suo talento. L’eccezione si presenta nel momento in cui Lauren lascia il proprio posto a Martin durante God’s Plan e Under The Tide, tracce rispettivamente del terzo e primo LP, in cui a cantare è lo stesso Martin. Sicuramente più abile dietro alle tastiere e ai launch pad che come cantante, Martin riesce a compensare le carenze della sua voce con una carica e una passione che infiammano il pubblico quasi più di quanto sia riuscita a fare Lauren prima di allora. La performance funge da momento di rottura tra la prima e la seconda parte del live, che prosegue su un ritmo più elevato a partire da Miracle, una delle tracce più intense di Love Is Dead.

Nonostante i CHVRCHES abbiano attinto in maniera piuttosto equa dai loro 3 album, i momenti più alti dell’esibizione sono coincisi con l’esecuzione dei pezzi tratti da The Bones of What You Believe (GunWe Sink e The Mother We Share su tutte), ma anche Leave A Trace e Clearest Blue, da Every Open Eye, sono state accolte con entusiasmo e perfino tracce come Graffiti e Never Say Die, con cui hanno chiuso il concerto, hanno trovato un’ottima resa dal vivo, non sfigurando di fronte a canzoni ormai storiche per la band. 

In un’ora e venti di live, i CHVRCHES hanno fornito una prova di forza che conferma quanto siano cresciuti artisticamente dai loro esordi e hanno dimostrato che, pur non essendo più un fenomeno mainstream, rimangono il dignitosissimo baluardo di un genere, forse oggigiorno trascurato, capace di far sognare, cantare e ballare centinaia di persone.

Foto di Andrea Pelizzardi