arielmilano

Per pom pom ho già speso molte e lusinghiere parole poco tempo fa, è stato l’unico 9 del 2014 di Deer Waves, è stato l’album dell’anno di Deer Waves.
Potevo dunque perdermi la venuta di Ariel Pink in territorio milanese, più precisamente al Tunnel (all’interno del Warm Up del Design Week Festival targato elita)? Certo che no.
Entro nel locale e vedo subito il buon Ariel all’angolino del merchandise, intento a scrivere qualcosa su un piattino da aperitivo. Quel qualcosa si rivelerà poi essere la scaletta del concerto.

arielmilano2

Quando è il momento di dare il via alle danze i musicisti salgono sul palco uno alla volta, forse per non colpire il pubblico con troppa bruttezza concentrata insieme. Davvero penso non esista band esteticamente più brutta degli Haunted Graffiti. Don Bolles, il batterista, merita una particolare menzione in quanto in bikini e con in testa un cappello texano di pailletes rosa; ma anche gli altri quattro non scherzano, ve lo assicuro (vedere qui le foto della serata per capire di cosa sto parlando). Ariel dal canto suo si presenta al microfono con una tutina aderente della Nasa, di almeno due taglie in meno, che gli mette in mostra la panza da alcolizzato e qualcos’altro poco più sotto che avremmo voluto evitare di vedere.
Ma bando ai commenti estetici, ora è il tempo della musica.

arielmilano4

L’attacco è con White Freckles, eseguita impeccabilmente, una cavalcata senza sosta che ci porta dritti nel mondo di Ariel Pink, tutto luci al neon e sensazioni ambigue. Si procede con Kinski Assassins (da Mature Themes) e poi con un altro filotto di pezzoni da pom pom: 4 Shadows con una voce distortissima, Goth Bomb che, con la sua attitudine punk, agita tutti i presenti e Not Enough Violence che procede sulla scia distorta della precedente e fa cantare a squarciagola. Poco più tardi è tempo del ritornello super catchy di Lipstick e delle atmosfere baldanzose di One Summernight.
Ciò che colpisce già dai primi pezzi è la fedeltà con cui vengono riprodotti in sede live: la cura degli arrangiamenti, i cambi di tempo, i suoni, sono riportati in tutto e per tutto anche sul palco. Dietro quelle strambe vesti e quell’apparenza da gran cazzari si nascondono in realtà ottimi musicisti.
La pecca principale è però il volume troppo alto del basso e una voce talvolta assente; non si sa se questo sia dovuto a un soundcheck + accordatura, e dunque attitudine, molto blandi e lofi (sembravano ragazzini in sala prove), o per un problema fonico-tecnico.
Ben presto però dimentico tutto con Fright Night (Nevermore) che è, per me, un regalo immenso da parte di Ariel, il mio pezzo preferito da Before Today, quello che “tanto non lo fa me se lo fa…” e quindi “Knock-knock on the door three times / And you knock-knock on the door!”. Neanche il tempo di gioire che si riparte con l’isteria di Dinosaur Carebears (“No dai, ma come cazzo fanno a farla live questa?”) e con la perla d’annata Life in LA: le ombre lofi degli esordi tornano imperanti, rafforzate dalla mitica coda sghemba di sassofono e da video sullo sfondo che definire deliranti è poco (tra i tanti colpisce quello di un(a?) culturista con un microfono in mano).
I singoloni da pom pom, (Black Ballerina, Picture Me Gone e Put Your Number In My Phone) fanno poi cantare tutti all’unisono, poco prima che lo show giunga al termine.
Singolo encore e non doppio perché “dopo c’è la disco”, come dice Ariel, e allora è il momento della carica Bright Lit Blue Skies che chiude il concerto (nonostante qualcuno fra il pubblico abbia richiesto Sexual Athletics; dai, ma seriamente? Lo stesso Ariel ha risposto un po’ indispettito con un “you are terrible fans”; e come dargli torto con i pezzoni da 90 non pervenuti).

arielmilano3

La nota negativa, a parte quel paio di accorgimenti tecnici qui sopra (sempre ricordando che siamo a un concerto di Ariel Pink, e che il lofi è dunque sempre dietro l’angolo), nasce soprattutto dall’atteggiamento dello stesso Rosenberg: così colorato e sopra le righe esteriormente, ma così chiuso, riservato, a tratti scontroso nel comportamento. Mi riferisco sia alle movenze sul palco (molto più partecipi e coinvolgenti di lui sono stati il tastierista e il batterista), ma in particolar modo al post concerto, pieno di foto con sorrisi fintissimi e un’aura di scazzo totale anche di fronte alle sincere richieste di autografi.
Non so se fosse una serata no per lui o se sia la sua condizione regolare oggi, né voglio indagare sulle causa che lo hanno portato a tale insofferenza.

Insomma un bellissimo concerto, un’ora abbondante di ottima musica, ma sinceramente avrei preferito conservare un ricordo più “umano” di un mio grande, grande, idolo.