Otto anni e quattro album dopo l’esordio con Limbo, Panto, i Wild Beasts continuano ad essere una di quelle entità musicali ineffabili, prismiche, mutevoli – un oggetto che stai per toccare ma che ti fa rimanere sempre qualche centrimetro di troppo dal capirlo. Non a caso gli aggettivi più usati per descriverli finiscono per rientrare nell’area semantica dell’etereo, del caleidoscopico, del sublime – tutto ciò di cui parliamo quando parliamo di art-pop. Eppure la mutevolezza dei Wild Beasts sta anche nel non essere mai uguali a se stessi: Present Tense, con la sua ricercatezza quasi mistica, era stato un gran passo in avanti in questo senso, e Boy King fa lo stesso ma con mezzi e direzioni diversi.

Boy King è un disco spiccatamente e sfacciatamente pop. Per provarlo bastano bastano i primi quattro brani dell’album: già in tracce come Big Cat e Get My Bang emergono chiaramente il falsetto – qui diventato aggressivo – di Hayden Thorpe, i synth onnipresenti e l’intreccio di percussioni e basso groovy con la chitarra distorta di Tom Fleming; risulta difficilissimo non ballare con Tough Guy e con la sua traccia-specchio Alpha Female, dove il tema della mascolinità viene messo in discussione e riappropriato su entrambi i fronti. A differenza di quel che si è detto in passato sulla scelta del nome della band, in Boy King la spinta dietro l’album è di fatto animalesca, primordiale, e non a caso piena di riferimenti alla mitologia (Eat Your Heart Out Adonis, He the Colossus) o all’id di Freud, e sono brani in cui la svolta pop non alleggerisce i contenuti né la forma, ma li trasforma e fortifica: suoni più muscolosi che si arricchiscono con testi meno oscuri ma più ermetici, perfetti per un disco in cui l’elemento della sessualità/sensualità in tutte le sue forme è tagliabile a fette, dall’incontro della voce ansimante di Thorpe con le distorsioni in Eat Your Heart Out Adonis al simbolismo cacciatore/preda di 2BU. In un album in cui la voce di Thorpe serve da elemento centrale sono proprio 2BU e Ponytail, gli unici brani con il baritono di Fleming alla voce, che spiccano più di altri sul resto: 2BU che è vagamente memore di ANOHNI e Ponytail con quella linea di basso funky, entrambe dimostrazione che le nuove impalcature strumentali della band funzionano con entrambe le voci principali – e che forse un maggiore equilibrio tra le due avrebbe giovato ancora di più all’album.

Sorprendente ma non troppo, poi, che l’album si completi con un brano minimale come Dreamliner, più vicino nelle atmosfere a Present Tense o Two Dancers: serve forse a concludere il percorso – estremamente intimo – di Boy King nell’esplorare la sessualità con veemenza e con catarsi, rivendicandone l’elemento emotivo e riscrivendolo in termini non standardizzati. Ed è proprio questo insieme di forza e sensibilità ad arricchire il pop di Boy King, a salvarlo dalla plasticità in cui rischia di cadere in un paio di punti, e a porlo in diretta continuità con i lavori precedenti. Raffinato, distante e intoccabile come solo i Wild Beasts sanno essere ma anche maledettamente danzereccio – perfetto per far ballare anche i duri di cuore.

Tracce consigliate: 2BU, Ponytail