Nomen omen ma non sempre. Ascoltando la loro musica non si direbbe che i Wild Beasts siano delle bestie selvagge; se proprio si dovesse cercare un aggettivo li si potrebbe definire raffinati, sottili, sublimi nell’accezione di sublimazione.
Tre anni son passati da Smother, un disco che colpì molto la critica e che per forza di cose si va a stagliare imperioso sullo sfondo, proiettando un’ombra di dense aspettative sull’ascolto di Present Tense.

E in questo caso nomen omen per davvero. Present Tense, ossia tempo presente. Come a dire “Smettetela di pensare al passato, il nostro album è questo e noi nel 2014 suoniamo così!”. E come suonano i Wild Beasts? Dannatamente bene.
Più che musicisti paiono degli alchimisti che in laboratorio miscelano in parti uguali tecnica e facilità di ascolto (per quanto la seconda si sia abbassata rispetto al passato), art e pop, chitarre e synth. Gli intrecci più puri sono quelli classici tra il tenore Hayden Thorpe e il baritono Tom Fleming, e quando il primo si lancia in ottovolanti vocali non ce n’è davvero più per nessuno.
A sostegno del cantato accorrono melodie concepite nei minimi particolari, ma non per far presa diretta, bensì per far orientare lungo un ascolto ponderato e allo stesso tempo interessante, mai banale o scontato. A questo proposito meritano una menzione d’onore i due produttori Leo Abrahams (scuola Brian Eno) e Alex Droomgoole (Arcade Fire e M.I.A.), capaci di creare una solida base architettonica senza mai scadere nel barocco.
La scrittura è sempre ricercata e con una spiccata componente armonica, volta a far intrecciare le voci alle melodie, queste ultime più elettroniche rispetto a quanto i Wild Beasts ci avessero abituato in passato, nonostante permangano arpeggi chitarristici armonizzanti, riff palm-muted, bassi ondeggianti e bonghi sullo sfondo.
Di momenti degni di nota in Present Tense se ne contano parecchi: dal trascinantissimo singolo di lancio Wanderlust alle altre killer-track che più catchy non si può: Sweet Spot e Mecca (smettetela di provare a cantarle che tanto non ce la fate); il ritornello e il cambio di Daughters fanno ribaltatare dalla sedia, così come convincono i momenti più tranquilli, forti di una valenza quasi cinematografica (Pregnant Pause su tutte). E poi ancora il climax struggente di New Life che si chiude eloquentemente nel nulla e i synth modulati di Palace.

Nel complesso Present Tense è un disco dall’impalcatura solidamente pop e allo stesso tempo di non così facile approccio, quasi mancasse l’attitudine, il voler rimanere del tutto impressi; questa non è però una mancanza, è una scelta, un contrappasso richiesto all’ascoltatore che decida di abbandonarsi totalmente alla musica dei Wild Beasts, scoprendone tanto il lato più dolce quanto quello più ballabile, là dove l’art abbraccia il pop e la calda elettronica dà la mano all’analogico, diventando una cosa sola.
Più che selvagge queste bestie paiono se non tranquille almeno in buona parte domate.
E a noi va bene così.

Tracce consigliate: Wanderlust, Sweet Spot, Daughters