Il 2021, sulla carta, sembrava essere l’anno giusto per l’esplosione dei Viagra Boys e per questo l’arrivo del sophomore album della band era atteso con una certa impazienza. Per capirci meglio, Welfare Jazz è il tipico album che segue un buon esordio dalle discrete potenzialità (Street Worms), destinato ad un pubblico numericamente maggiore rispetto al primo e che si inserisce nella ritrovata moda di un certo tipo di post-punk. In pratica una promessa seducente per quelli che montano le consuete narrazioni tipo la-next-big-thing-di-tal-genere e chiaramente anche per il mercato, che ha trovato gli underdogs perfetti per fare un po’ di macello ai festival estivi.

Ma lungo i suoi 40 minuti le promesse che lo accompagnano vengono mantenute raramente. E non è certamente sufficiente il carisma di Sebastian Murphy, frontman della band, a metterci una toppa. Un po’ Joe Talbot, un po’ Joe Casey, un po’ Brad Pitt in The Snatch; un po’ troll, ma anche un po’ serio perché lui non si droga più. Un po’ tutto, un po’ niente.

Il parziale fallimento di Welfare Jazz si deve principalmente al fatto che è un album che non ha nulla che si faccia ricordare per davvero. Che non vuol dire brutto, ma talmente insipido ed artefatto da farti incazzare.

Almeno metà dell’album si può serenamente skippare senza sentirsi in colpa. Ain’t Nice, ad esempio, parte con l’intento di spaccare i muri a cannonate, ma si perde nella monotonia, sembrando più un b-side di Street Worms che l’opening track del tuo album più importante, né tantomeno una versione moderna dei Suicide. Ci sono poi alcune deviazioni sul country (la musica che ascoltava Murphy da bambino), come To The Country o In Spite of Ourselves, che stanno lì non si sa bene a fare cosa. Ed è un vero peccato che Amy Taylor di Amyl and The Sniffers venga chiamata per la ninna nanna finale. Gli interlude fortunatamente durano poco quindi non c’è nemmeno da porsi il problema dello skip, né del senso di colpa per non aver provato nulla. Ma forse il mercato considera più interessanti le banalità, quindi ci si adegua.

Per trovare qualcosa che ci confermi come mai si parli bene di questa band, bisogna attendere 6 Shooter, brano strumentale che in live può rompere un po’ di denti, o Secret Canine Agent e soprattutto a Girls & Boys, che rimanda ai primi anni ’00 tra balletti da LCD Soundsystem e il pogo dei Death From Above. Peccato che il confronto con le loro cose vecchie tipo Down in the Basement sia abbastanza impietoso. Che poi, uno si aspetta anche un po’ jazz da un album che si chiama Welfare Jazz, ma il binomio post punk/jazz, oggi molto trendy, sembra una cosetta modaiola buttata in caciara, senza attitudine e con il sax sempre in mezzo ai coglioni.

Il problema sta nel fatto che Welfare Jazz è stato creato per essere mainstream e con contenuti mainstream e nonostante questo suona già vecchio. Un album che voleva essere imprevedibile e stupefacente e che, invece, dopo 5 minuti hai già capito come va a finire. Il 2021 sarà sicuramente un anno di svolta per i Viagra Boys, ma se non vogliono scomparire a breve termine devono iniziare a capire se ci sono o se ci fanno, perché musicalmente non stanno facendo nulla per lasciare il segno.

Tracce consigliate: 6 Shooter, Girls & Boys