Ma ve lo ricordate My Super Sweet Sixteen? Sì esatto, il programma delle riccone americane con la coroncina che per il compleanno ricevevano un suv rosa big babol? Il passato di Daniele Mana, in arte Vaghe Stelle, è ben lontano da quelli di MTv.

Il suo Sweet Sixteen è nero, profondo, ma non fa male.
Otto tracce, 25 minuti che risucchiano e lasciano l’ascoltatore lì, perso a fluttuare nei densi trascorsi dell’artista mentre meteoriti di ricordi sfrecciano a velocità supersonica accanto agli orecchi. Le atmosfere sono soniche e spaziali, siderali e tuttavia non asettiche.
I synth cadenzati di My Birthday e la batteria concreta, contraltare di un luogo astrale e sconfinato, di Sweet Sixteen ci conducono per mano nel cuore dell’opera, composto da un trittico micidiale.
La cassa di Artificial Intelligence batte a ritmo cardiaco mentre uno snare interstellare sferza loop ipnotici di tastiere; i 4/4 di Libitum pulsano di notte, con luci al neon lontane e che poco ci interessano: l’importante è continuare a correre e mai guardare indietro, tanto il passato ce lo portiamo dentro tutti. Senza nemmeno accorgercene abbiamo percorso Duemila Kilometri a ritmi frenetici e serve una pausa, gentilmente concessaci dall’ambient di She Sometimes.
Dove siamo finiti? “Sorry I Don’t Know Where I Am Now”. Sperduti, frastornati, disorientati, confusi troviamo rifugio nella cullante Thanks For The Conversation.

Grazie a te, Daniele. Per essere di Torino e non di Londra o, che so io, Berlino. Grazie per averci aperto le porte del tuo passato, per averci raccontato un po’ di cose tue che poi forse sono anche le mie, e quelle di pochi o molti altri. Grazie per il passaggio che dovevo proprio andarci nello spazio. Ci ho trovato dell’hiphop e della techno, bass e ambient. Forse non ho trovato il senno di Orlando come fece Astolfo, ci ho trovato però un gran talento. Ma quello non lo avevi mai perduto.

Tracce consigliate: Duemila Kilometri, Libitum.