Nel periodo 2006-2007 ricordo che leggevo con una certa frequenza Rolling Stone: certo, ero giovane, inesperto e scemo e quei soldi avrei dovuto spenderli, lo so.
Ma ricordo che c’era fermento nell’aria per la reunion di questo gruppo micidiale che sarebbe tornato dalla tomba e avrebbe spaccato tutto con un album dal forte tasso di politicizzazione (era il periodo della seconda presidenza Bush, ricordate quanti artisti e artistucoli più o meno prezzolati, più o meno in cerca di fama saltati in quegli anni sul carrozzone antigovernativo spinto a forza dagli amici pacifisti di MTV? Che ridere a ripensarci), potente e dirompente.
Quell’album era Zeitgeist, oggi generalmente considerato una bella stronzata; la band in questione erano gli Smashing Pumpkins. Per dire, alle volte l’hype non è il massimo. Il pelato frontman e signore indiscusso del gruppo, Billy Corgan, nonostante quell’occasione sprecata malamente non si è però fatto fermare nel suo tentativo di rinascita artistica.

E infatti ecco qui a fine 2014 il terzo parto delle redivive zucche. La cosa buffa, amara ma buffa, è che il precedente Oceania rispolverava con successo le formule a metà tra il grunge e l’alternative rock e. Il trittico iniziale poi era sicuramente la migliore cosa fino al momento composta dopo la reunion. Lo vedete il voto lì in alto?  Qualcosa, nel passaggio fra un album e l’altro, è andato storto.
Tanto per dire che forse ridurre la line-up a due persone, non è stata la migliore delle idee; sì perché il Corgan forse un po’ megalomane, forse molto sfortunato nella ricerca di compagni di band è l’unica mente dietro a questa creazione, supportato solo dal chitarrista Jeff Schroeder e dal fu cotonatissimo Tommy Lee alla batteria.

La misteriosa lobby che che complotta per affossare gli album degli SP (esiste, lo giuro!) ha fatto un buon lavoro nel minare la performance al microfono di Corgan: in trenta minuti di disco è difficile trovare linee vocali all’altezza, tanto che a volte si spera di sentirlo sparire sotto la musica. E invece no, è sempre lì, sbilenco su Tiberius, più composto in Drum + Fife, quasi granitico per la conclusiva Anti-Hero.
Ci erano state promesse guitars, guitars and guitars e non si può dire che manchino; meno prevedibile era la convivenza con un’armata di sintetizzatori agguerriti. Su questo fronte a condurre le danze, è proprio l’espressione corretta, ci sono gli eccessi di Run2Me, alternanza selvaggia di rock e dance anni 90. Niente contro la dance anni 90, per carità, ma non è un matrimonio che avrei voluto ascoltare. Più moderata Dorian, altrettanto straniante con le tastiere pungenti di Tiberius.
Monuments… complice anche la durata risicata, vuole essere un destro dritto in faccia, un colpo folgorante. Peccato che per una serie di concause l’attacco vada a vuoto. Anche i brani migliori non aggiungono proprio nulla di nuovo nemmeno a quanto sentito solo in Oceania, figurarsi se paragonati al resto delle uscite discografiche anni 90 e giusto una Being Beige o Anti-Hero, ben piazzate e solide, risollevano il livello medio.
Come terminerà questa trilogia di alti abbastanza entusiasmanti e bassi decisamente insipidi lo scopriremo già l’anno prossimo. Aspettiamo Billy il pelatone e la sua creatura al varco per il quarto giudizio su questo secondo atto dell’opera Smashing Pumpkins. Buona fortuna eh, ne avete bisogno ora.

Traccia consigliata: Being Beige.