Quanto sarebbe bello avere Thurston Moore come papà, un genitore che la mattina ti viene a svegliare Jazzmaster in braccio, sparandoti in testa, le lacerazioni distorte provocate da una bacchetta che gioca tra corde e pickup. Il solito gallo, il suo canto e l’immaginario di campagna hanno rotto il cazzo. A 56 anni chiama a sé un po’ d’amici di gioventù come il fedele compagno sonico Steve Shelley alla batteria, Debbie Googe (My Bloody Valentine) al basso e James Sedwards (Nought) ad affiancarlo nei dialoghi a sei corde.

Ritornano precisi i cari vecchi dialoghi dissonanti che Thurston ha impressi nel DNA (Speak To The Wild) che spalancano le porte alle cavalcate a lento rilascio (Forevermore). A differenza degli 8 minuti della traccia apertura, qui nella seconda traccia gli 11 minuti pesano abbastanza sulle orecchie dell’ascoltatore. Fortunatamente il resto dell’album propone brani più immediati come la graffiante Detonation e inaspettate sonorità rock classiche come quelle di The Best Day in cui però ti vedi già questo ragazzone di tre quarti verso il microfono nascosto da quel casco di capelli a tirar giù corde e distribuire strafottenza.

Vocabularies e Grace Lake riaprono e riprendono il capitolo “vecchi ricordi”; tenendo in mano il disco pensi ci sia un errore di stampa ma subito dopo non puoi fare altro che notare con sofferente nostalgia la mancanza di mamma Kim Gordon e zio Lee Ranaldo. Germs Burn chiude con carattere The Best Day, tra buoni assoli e potenti riff in cui la voce di Thurston incide i suoi slogan con decisione.

Questo disco provoca, come detto poco sopra, inevitabili reazioni di nostalgia poiché a differenza del precedente Demolished Thoughts, un lato inaspettato dell’icona noise newyorkese, ritorna alle sonorità per cui è diventato la colonna portante di un’ intera scena insieme alla sua band, riferimento imprescindibile per miriadi di musicisti presenti e futuri.

The Best Day è il famoso “colpo da battere” per dimostrare di essere in vita e questo colpo si sente forte e chiaro, fa capire che Thurston ha ancora di idee da trasformare in tasti premuti su sei corde e in architetture da trasformare in brani con un tiro non indifferente. Il limite, se così vogliamo chiamarlo, è la mancata sorpresa sonora, se mai fosse stato lecita aspettarsela da un’artista che è in giro da un gran numero di anni in cui le barriere dei generi le ha sfondate un po’ tutte.  Colpa magari anche dei compagni di band, musicisti che hanno tutti un background comune e incontrarsi in nuovi territori non era possibile.Dalla copertina, una foto di mamma Moore ai tempi d’oro, si poteva attendere un’ esplorazione back to the roots del rock nell’accezione più classica ma a quanto pare anche da piccolo Thurston si ricorda “sonico”.

Tracce consigliate: Speak To The Wild, The Best Day.