Per chi ha iniziato ad appassionarsi ai Flaming Lips negli anni Dieci la vita non dev’essere stata affatto semplice. La mole di uscite e collaborazioni è stata effettivamente imbarazzante, nonostante quel casino abbia partorito discrete perle (The Terror, Oczy Mlody), ma tra canzoni di 24 ore, feti in gelatina e album discutibili insieme a Miley Cyrus la tentazione di bollarli come roba da archivio era effettivamente tanta.
La carriera dei Lips va per i 40, e c’è da dire che in ogni decennio hanno avuto uno stile unico, un’innata capacità di reinventarsi. American Head può essere visto come una nuova fase della band, dove sperimentazione e voglia di fare il cazzo che gli pare vengono messe in soffitta, favorendo un songwriting ispirato e nostalgico, e un ritorno a quel folk psichedelico che ha caratterizzato lavori come Yoshimi Battles The Pink Robots e The Soft Bulletin. I primi due singoli – Flowers On Neptune 6 e My Religion Is You – avevano già indirizzato l’album verso quella strada, ma guai a bollarlo come semplice tentativo di tornare ai vecchi fasti: i brani di American Head gli conferiscono molta più dignità del compitino fatto bene, un disco così bello non lo pubblicavano almeno dal 2009.
Il fil rouge della narrazione gira intorno all’adolescenza di Wayne Coyne e Steven Drozd rivissuta attraverso le esperienze dei loro fratelli e la consapevolezza (e la nostalgia) di quelle stesse azioni nell’età adulta. Come in Brother Eye, utilizzata da Drozd come brano-terapia per superare la morte dei suoi familiari, oppure At The Movies On Quaaludes, dove Coyne racconta degli interminabili pomeriggi passati dal fratello strafatto al cinema, intento a crearsi una realtà tutta sua.
We’re so high that we forget that we’re alive
As we destroy our brains ‘til we believe we’re dead
It’s the American dream
In the American head
C’è anche una suite semi-nascosta, che parte con Mother Please Don’t Be Sad, attraversa l’acidissima When We Die When We’re High e plana nella quasi western Assassins Of Youth, mutando continuamente forma ma rimanendo sempre fedele ai Flaming Lips dei giorni migliori. A proposito di western, in God And The Policemen fa una comparsata la stella del country-pop Kacey Musgraves, che si intreccia con Coyne in una storia di droga, omicidi e fuga dalla legge; un tema quasi camp, che nelle mani di questi pazzi diventa un racconto sognante, una trama da film, una serie tv di HBO.
Musicalmente American Head suona classico e sobrio, ma è anche il disco folk che farei ascoltare a degli alieni appena arrivati sulla terra. È anche un album decisamente triste, intriso di nostalgia e what if nonostante gli aneddoti da redneck e gli svarioni drogherecci. Non so se i Flaming Lips siano finalmente diventati grandi, oppure sull’orlo di una nuova giovinezza: American Head riesce in ogni caso a stupire e coinvolgere senza il bisogno di ricorrere a effetti speciali, tra ballate mid-tempo e i Beatles, tra Yoshimi e i Pink Floyd.
Tracce consigliate: At The Movies On Quaaludes, Assassins Of Youth, Will You Return/When You Come Down