Dal primo ascolto di ENTERTAINMENT, DEATH, album numero quattro degli SPIRIT OF THE BEEHIVE, si esce abbastanza disorientati. 11 brani in cui succede praticamente di tutto e che fanno pensare cose del tipo “Non sono sicuro di averlo capito.” Ma mentre questa e altre pippe mentali si moltiplicano, in realtà l’album è già finito in loop. Una volta entrato nella bocca del diavolo, infatti, sei fregato.

La bocca del diavolo è chiaramente quella dell’artwork, che riproduce l’ingresso della vecchia giostra Dante’s Inferno in Florida – oggi abbandonata – e che introduce l’ascoltatore dentro il caos sorprendente dei parchi di divertimento dove non hai il tempo di elaborare quello che accade che sei di nuovo in coda per ripartire. Corsa breve, ma intensa. L’album dura meno di un’ora ed i brani sono relativamente corti, eppure sembra che tutto duri un’eternità.

La strategia che usa la band è brillante ed astuta, ma per tutta la durata dell’album non sembra nemmeno averne una. Il lavoro non per niente è omogeneo e passa da un sottogenere ad un altro senza una logica apparente, risultando comunque molto efficace.

Questo giochetto da burattinaio non vale solo per l’album nel suo complesso, ma anche per le singole canzoni. Basta, infatti, dare un ascolto a THERE IS NOTHING YOU CAN’T DO, che parte con un groove elettro pop lo-fi da passeggio, mescolato a campionamenti (degno dei migliori Avalanches) di spot pubblicitari presi da Youtube, e all’improvviso si trasforma in una spirale di paranoia a metà tra Kurt Cobain ed un film di Adrian Lyne. Oppure l’ambiziosissima I SUCK THE DEVIL’S COCK che pesca a piene mani nella follia di Ariel Pink riuscendo a combinare accenni di post punk con la chillwave, in quasi 7 minuti di assurdità sperimentale con versi che passano da “I came to spit into your mouth a I swear i’ll find you once again/I know love never ends“. Scavando a fondo, poi, e facendo su e giù come nell’ottovolante ci sono brani più strutturati basati sullo scazzo lo-fi di Mac DeMarco, vedi alle tracce THE SERVER IS IMMERSED e la super mega dreamy WAKE UP (IN ROTATION), e su quello più astratto di Alex G in GIVE UP YOUR LIFE, che tiene alta la quota DIY di Philadelphia, città da dove proviene anche la band.

Se il primo ascolto fa venire le pippe mentali di cui sopra, dal secondo in avanti ci si rende conto che la genialità di ENTERTAINMENT, DEATH sta proprio nel fatto che la band risolve alla radice il problema della linearità e quello del genere musicale. Estrae elementi psych del passato e li combina con tutte le nuove varianti dell’hypnagogic pop per raccontare una storia del tutto nuova e dal percorso narrativo assurdo. E lo fa col ghigno perfido di chi cambia improvvisamente direzione o di che apre botole nascoste sul tuo cammino. L’indizio su quello che succederà una volta inserito il gettone lo si trova già in apertura: l’opening track ENTERTAINMENT dapprima ti scrosta ogni certezza con due minuti di noise senza senso e poi, voilà, uccellini che cantano e indie pop morbidissimo che sintetizza l’intero disco.

Non è che ENTERTAINMENT, DEATH sia perfetto. Se non sta attento rischia di far bloccare la giostra a testa in giù mentre stai facendo il giro della morte: l’approccio sregolato ed anticonvenzionale, è da un lato la sua forza, ma anche la sua debolezza, perché il concetto di canzone sembra svanire un po’ troppo facilmente. Togliendoli dal contesto, alcuni brani presi singolarmente cambiano in misura eccessiva ed alcune orecchie potrebbero non riuscire a focalizzarsi sul brano o su melodie praticamente inesistenti. Ma anche qui, la band ti fotte, perché di fatto ti obbliga a farlo ripartire da capo per riprendere il ritmo, dando ad ogni ascolto un valore sempre nuovo.

Piccole sbavature a parte, questo modo di procedere e di annullare tutti i cliché di genere ha senza dubbio la capacità di tenere altissima la soglia di attenzione per tutto il tempo (di intrattenere, appunto) nonché di ribaltare la figura dell’ascoltatore che da soggetto passivo, diviene soggetto attivo e non più vittima dell’intrattenimento preimpostato, “docile e continente ma completamente vuoto/regredito a uno stato cerebrale rettileo” (citando David Foster Wallace che sull’Intrattenimento ci ha scritto un romanzo di 1280 pagine). Ti tiene lì e ti fa venire voglia di capire e di parlarne, anche perché con un titolo così le grandi narrazioni sono servite su un piatto d’argento.

Probabilmente gli SPIRIT OF THE BEEHIVE non hanno la pretesa di rompere le logiche distruttive dell’intrattenimento mainstream; queste grandi narrazioni infatti sono solo nella testa di ascolta, ma consapevolmente o meno, con ENTERTAINMENT, DEATH portano l’indie rock ad un nuovo livello.

Tracce consigliate: THERE’S NOTHING YOU CAN DO, WAKE UP(IN ROTATION), I SUCK THE DEVIL’S COCK.