L’altro giorno era un bel po’ ubriaco e nella mia mente è passata per la mente la possibilità di scrivere finalmente questa recensione su The Dream Is Over: nulla di più errato. Ho ascoltato e riascoltato questo disco fino a conoscerlo a memoria, non riuscivo a capire cosa mi piacesse e soprattutto cosa non mi piacesse e sono arrivato alla conclusione che, come ben spesso accade, la soluzione sta nel mezzo.

I PUP partono al massimo con il duo If This Tour Doesn’t Kill You, I Will / DVP, praticamente una canzone sola di 4 minuti e mezzo: la prima parte passa da un tipico arpeggio emo (Oddio, sembra qualcosa dei Plain White T’s) per passare ad una chitarra che ricorda gli Arctic Monkeys in una versione punk e passare all’hardcore (melodic) punk di DVP con un coretto in falsetto che entra subito in testa. E poi? Poi di nuovo c’é tanta confusione, tante influenze centrifugate e sparate all’impazzata contro un muro, un adagiarsi su qualcosa che é già stato collaudato nel passato prossimo dello scorso decennio. Il duo più smaccatamente pop My Life Is Over And I Couldn’t Happier / Can’t Win, non riesce a soddisfare, così come le gemelle The Coast e la conclusiva Pine Point che dovrebbero essere le canzoni dinamiche: intro acustico in arpeggio ed esplosione che ha un gusto “epico” solo nei toni.

Nella pancia del disco non riescono così a spiccare la violenta e rabbiosa Old Wounds e la Weezer-iana Familiar Patterns. Il disco è corposo sebbene i 30 minuti (che aiutano notevolmente l’ascolto), ma ogni volta che sei pronto per la svolta, cadono nuovamente le aspettative. Se lo dovessimo paragonare ai loro simili contemporanei: non hanno la classe dei The Hotelier, l’ambizione dei Titus Andronicus, la rabbia di Cloud Nothings e il feeling dei Modern Baseball. Non è di certo un album da buttare ma nemmeno da considerare lontanamente all’altezza dei nomi qui riportati.

Tracce consigliate: If This Tour Doesen’t Kill You, I Will, Familiar Patterns