Dei Peace vi parliamo da un anno ormai qui su Deer Waves. Furono uno dei nostri primi Hype, li abbiamo intervistati, vi abbiamo dato notizia del loro fortunato Delicious EP e dei vari singoli rilasciati in attesa di questo debut, In Love.
Da quel momento fino ad ora la band ha vissuto sulla cresta dell’onda, facendo sold-out del sopracitato EP, partecipando all’ultimo SXSW ed entrando nelle lineup dei grandi festival di quest’estate 2013. Si trovano quindi a rilasciare il loro primo album in un’atmosfera che se non è di idolatria (NME docet) poco ci manca, con il rischio di soffrire di ansia da prestazione e finendo per deludere miseramente le aspettative, andando ad affiancarsi a fuochi fatui del passato.

All’interno di In Love confluiscono le atmosfere a bassa fedeltà del british indierock 00s più puro miscelate ad assoli acid, riverberi, percussioni quasi tribal e bassi danzanti. Buone carte in tavola per un debutto atteso.
Il quartetto di Birmingham giostra un ascolto semplice e scorrevole attraverso dieci tracce variegate che mantengono vivo l’interesse, alzando e abbassando il ritmo come su un ottovolante, mantenendosi comunque ancorati al trend accennato prima, ma facendo sempre trasparire il filo conduttore dell’album.
Si viaggia comunque più soddisfatti sui vecchi pezzi (Follow Baby, Wraith, California Daze) che sui nuovi, anche se un paio sono all’altezza delle aspettative (Higher Than The Sun, Delicious).
Sono anche presenti, purtroppo, sbandate di cui davvero potevamo fare e meno e che dai Peace degli esordi non ci saremmo mai aspettati. Ma se alcune sono perdonabili (Float Forever si costruisce in maniera pressoché identica a California Daze e il refrain di Waste Of Paint ricalca forse troppo quello della vecchia Ocean’s Eye) altre fanno parecchio male: il ritornello cathcy di Toxic è degno di un’anonima radio-hit e Lovesick è davvero un’indiminkiata notevole, di quelle che dicono “I don’t wanna go to school.. I just want to be a fool” che ti aspetti dai gruppettini pazzerelli del patinato inglese, non da ragazzi che a inizio 2012 avevano ridimensionato la distanza tra hype ed effettivo talento. Ma quante cose cambiano in un anno.

Nel complesso In Love è un album dal sapore tanto nostalgico (di dieci anni fa) quanto incredibilmente attuale, che esalterà i brufolosi indi delle superiori e i fan di Foals et similia, e che comunque non potrà essere odiato in toto anche dai palati più snob e raffinati, soprattutto se in sede live e se infarcito di qualche estratto “d’annata”.
È comunque innegabile la differenza tra i vecchi pezzi e alcuni inediti, specialmente negli episodi precedentemente nominati, differenza che risalta ancor di più nella forzata convivenza che si viene a creare all’interno dell’album, la quale puzza un po’ (tanto) di triste compromesso commerciale (così come aveva preannunciato la cover di Justin Bieber) più che di immaturità stilistica.
Il processo sembra – ahimé – iniziato, speriamo riescano a fare marcia indietro prima che tutto diventi irreversibile.
Non vendete definitivamente l’anima al diavolo, noi vogliamo continuare a “sputare sangue nel sole, sputare sangue nell’oceano”.

Tracce consigliate: Higher Than The Sun, Follow Baby.