Quanto siamo lontani dai fasti di Antidotes e quanto siamo lontani da un bel disco.
Devo dire che mi dispiace tanto. I Foals per tutti gli indi che nel 2008 avevano tra i quindici e i vent’anni, sono una sorta di inviolabile entità e mai si sarebbero sognati di ascoltare un loro disco e rimanere profondamente delusi.
Total Life Forever era un bel secondo disco, Antidotes era l’esordio perfetto ma Holy Fire è una cosa ignobile.
Partendo dall’aver appiattito tutti i suoni possibili, i Foals di HF suonano come i Coldplay strafatti di MDMA.
Stupida l’idea di partire a bomba con i due singoli (Prelude facciamo finta che non esista) e bruciarsi il buono nei primi dieci minuti. Inhaler e My Numbers non è che abbiano tutto questo gran buono, per carità, quantomeno però sono i due pezzi che alla fine dei quarantanove minuti ricordi vagamente: il primo brano cover di un pezzo qualsiasi degli Audioslave e il secondo un’ombra slavata del math rock di Antidotes, che già aveva accennato la sua dipartita con Miami, secondo singolo del precedente Total Life Forever.
Il resto dei pezzi sono veramente la noia, con questa propensione al pathos fatto tutto di intervalli minori e paddoni/archi, ma assolutamente vuoto di cuore, lo stesso cuore di Spanish Sahara e Electric Bloom.
Late Night impresentabile accozzaglia di influenze improbabili con un Yannis Philippakis che urla a squarciagola “Save me”, come se si fosse reso conto del danno, e un giro di basso rubato probabilmente a James Brown mentre Jack Bevan tiene i quarti. JACK BEVAN CHE TIENE I QUARTI.

Jack Bevan è lo stesso batterista di Balloons, per capirci.

Intanto Holy Fire continua la sua scalata verso il niente con una Out Of The Woods che non si descrive a parole tanto è brutta e termina nell’anonimato con Moon: nonostante le atmosfere quasi alla James Blake probabilmente il pezzo più carino del disco.

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