Ah, i Marlene Kuntz, facile criticarli. Cosa bisogna aspettarsi da una band nata negli anni Novanta come Sonic Youth all’italiana – ma con liriche molto più vicine a Nick Cave – e poi scesa progressivamente negli “inferi” di un colto e raffinato indie-pop, e ora alle prese col nono album in studio dopo quasi vent’anni di carriera? Più o meno ciò che ci si aspetta da un nuovo LP di Bob Dylan: una raccolta di belle canzoni e di testi a cui valga realmente la pena dare una letta.

Tutto qui, stop, nient’altro, e non c’è bisogno della sparata del Lester Bangs di turno che li erga ad esempio universale della staticità musicale che incombe in Italia. I Marlene Kuntz (grandi amanti della fotografia social, come potete vedere qui) appartengono al passato della musica italiana, un passato straordinario in cui hanno sfornato Capolavori come Catartica e Il Vile: questo basta per ricordare di che pasta sono fatti questi ex-ragazzi di Cuneo.

Ora, dato che ipotizzare svolte di alcun tipo è quantomeno improbabile, per esprimere un giudizio è opportuno badare alla qualità delle 11 tracce e allo stile intrapreso da Godano e soci: in poche parole, quanti pezzi belli sono contenuti in Nella Tua Luce? E questi, riprenderanno più dai rabbiosi Catartica e Il Vile o dai più recenti e poppeggianti Bianco Sporco e Uno?

Il disco inizia con la title-track, eterea e sincopata, con liriche d’ispirazione dantesca e montaliana, ma con citazioni a dir la verità fin troppo “comode” e scontate: “E io sono qui, rivolgo a te mia Clizia che volge al Sole le tue virtù…”; “tu sei la mia Beatrice, ispirami l’anima”. La traccia scorre bene, ma da uno come Cristiano Godano ci si aspetta qualcosina in più di questo… Che arriva con la seconda traccia, energica, Il genio (l’importanza di essere Oscar Wilde), canzone che tira in ballo un altro gigante della letteratura, Wilde, nel mezzo di un arrangiamento aggressivo e vivace, seppur parecchio curato. E subito a seguire, un’altra scossa con la sonicyouthiana Catastrofe, seguita da quello che probabilmente è il testo più toccante del disco: Osja, amore mio, dedicata ad un altro mito letterario di Godano, Osip Mandel’stam, canzone che narra l’arresto del poeta, mandato in un gulag siberiano da Stalin, visto con gli occhi di sua moglie. Il disco continua poi a scorrere senza grossi picchi, tranne il passo falso Giacomo Eremita, pezzo à-la Pearl Jam che riprende nel testo la celebre Milano e Vincenzo di Alberto Fortis (con risultati imbarazzanti), e la rumorosa ma orecchiabile Senza Rete.

E così, tralasciando altri brani di minore rilevanza, il disco finisce formando un mosaico stilistico di tutto ciò che i MK sono stati nel corso della loro carriera (alternando la rabbia degli inizi alle riflessioni della maturità), e lasciando in bocca un sapore molto familiare ma comunque buono, come il solito caffè della prima colazione. Ed è un bel risultato per i vecchi leoni piemontesi, perché di pezzi onestamente brutti in Nella Tua Luce ce ne sono al massimo due, e il resto è buon rock. E allora potrete ricordarmi che c’è molto lavoro di mestiere e forse poca ispirazione, e avrete anche ragione, o che l’ottima produzione è dovuta più al budget che ad altro, e anche in questo potrò darvi ragione, ma nessuno mi vieterà di aggiungervi un bel “e sticazzi?”. Già, perché nel 2013 in Italia non sono in molti a fare rock meglio dei Marlene Kuntz al nono album (lo riconosco con un velo di tristezza, purtroppo), e ciò è sufficiente per premiarli con una metaforica, e un po’ amara, pacca sulla spalla.

Tracce consigliate: Osja, amore mio