Se vivessimo una condizione di normalità, in questo momento saremmo in sella alla nostra bici per andare con gli amici lungo il fiume a vedere il sole che tramonta ubriachi. Birrette nello zaino, giacchetta a vento, ché non si sa mai e Tako Tsubo in loop. Poche cose ma essenziali, perché il sophomore de L’Impératrice irrompe sulle nostre teste con grande naturalezza, proprio come una bevuta in primavera. Pochi i momenti viaggiosi, ma tante le sfunkate di classe che fanno muovere il piedino.
C’è tanto Giappone nell’album, a partire dal titolo, che rimanda alla sindrome del cuore spezzato, frequentemente associata ad uno stress emotivo estremo. Il cuore non si spezza, ma cambia forma, assumendo quella molto simile alla trappola che usano proprio in Giappone per catturare i polpi (蛸 壺). Cioè, in soldoni, il nome dell’album è crepacuore. Fuor di metafora, per la band questo significa rottura coi precedenti lavori in un momento storico in cui la continuità delle cose è in bilico. Unendo così i puntini, come nei giochi della Settimana Enigmistica, è qui che nasce il concept dell’album e si iniziano a vedere meglio le cose.
Sull’asse franco-giapponese c’è poi anche l’artwork di Ugo Bienvenu e la testa non può che andare a quella volta di vent’anni fa in cui altri francesi si sono messi a giocare con i manga, partorendo Interstella 5555 – The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem. Ma il flirt intercontinentale, in ogni caso, non è solo di facciata e unendo i puntini, ancora una volta, si comprende l’eredità lasciata dai Daft Punk alle diverse forme d’arte transalpine.
Il tratto più innovativo, che distingue parzialmente l’album dagli esordi e dalla lunghissima fila di artisti che fanno più o meno le stesse cose (Parcels, Breakbot, Poolside, Sébastien Tellier, eccetera) è proprio quello del city pop giapponese sparato in faccia in apertura ed in chiusura di album. Nell’opening, nel closing, ma anche in tracce come Off to the Side c’è tutta la freschezza dell’easy-listening della Tokyo dei grattacieli e dei cocktail con l’ombrellino al piano bar. In due parole: stile e groove a pacchi nell’immaginario dei manga metropolitani degli anni ’80. Ed è pure cantato in francese (eccetto un paio di bombe in inglese).
Nel corso delle 13 tracce si viaggia a velocità moderata all’interno di un’elegante spider che manda in diffusione del raffinatissimo ed agrodolce elettropop francese in perfetto stile francese. Ma diversamente dalle operazioni di revival che rompono coglioni al terzo ascolto e dalle commercialate di plastica, qui troviamo tutti gli elementi di una nu-disco che vuole essere ancora più nu, ma anche suonata con l’attitude di una band vintage (come in questa recentissima esibizione): un impianto retro-funk con i suoi bassoni e le chitarrine, daftpunkate qua e là ed accenni di space-disco per ricordare che inizialmente L’Impératrice faceva musica per i viaggi intergalattici. E non è un caso, infatti, se la band è stata inserita nelle lineup dei maggiori festival (Sì, quelli che si sarebbero dovuti fare nel 2020 e che prima o poi si faranno). Che poi, i parigini fanno anche dei video bellissimi, come quello del singolo Peur des Filles.
Il mixaggio dell’album è quello di Neal Pogue (che nel suo passato ha lavorato per Stevie Wonder, TLC, Outkast, Tyler, The Creator e Kaytranada) cui è affidato il compito di sistemare i dosaggi e di amalgamare i momenti strumentali, intro ed outro, con la voce sublime Flore Benguigui. Nella sua semplicità ordinaria tutto combacia e l’impalcatura French Touch (frequentata da chiunque voglia fare musica di questo tipo) apre lo spazio anche a diverse variazioni sul tema in un mix perfetto di mossette e dolcezza: così, di fianco alle hit lounge-funky Peur des filles e Submarine, possiamo trovare tracce più dance oriented moderata come Anomalie blue o Voodoo. Senza perdere in coerenza, poi, di fianco a pezzi dalle influenze più pop come Fou o Hèmatome, si inseriscono senza problemi canzoni come Souffle au Cor o Digital Sunset, che più si avvicinano alle sonorità pacate dei connazionali AIR. E poi i suoni micidiali di Discovery come in Tombée sur la scène che fanno scendere più di una lacrima, mentre ne stappiamo un’altra con l’accendino.
Ora però sono cazzi perché con Tako Tsubo è legittimo aspettarsi l’esplosione definitiva della band. Se manterranno questo livello sapranno ritagliarsi uno spazio importante all’interno di un genere musicale fatto di alti e bassi e che a cadenza regolare muore e rinasce, proprio come i fiori a primavera. Quella che stiamo vivendo non è certamente una condizione di normalità, ma quando sarà il momento, tira fuori dal cassetto questo album, svolterà il tuo pre-serata.
Tu pensa solo a portare l’accendino e la giacchetta a vento, ché non si sa mai.
Tracce consigliate: Peur des Filles, Tombée sur la scène