Il City Pop – o シティーポップ (SHITĪ POPPU) – è un genere musicale giapponese che si è insinuato tra i neuroni come una droga.

Divenuto popolare durante gli anni ’70-80, proprio mentre fioriva l’economia del paese va messo in relazione con l’ascesa della vita quotidiana urbana e lussuosa delle aree metropolitane giapponesi. Insomma se fossimo in Italia parleremmo della musica da yuppies. Rispetto al suo diretto ascendente J-Pop (che in un rapporto di genere a specie si pone come diretto predecessore) si relazionava inizialmente ad un pubblico più adulto, quello dei lavoratori dei centri cittadini e della nascente cultura imprenditoriale nipponica.

La realtà oggi è cambiata e grazie alla diffusione di massa della vaporwave prima e del lo-fi hip hop dopo, questa forma molto vintage di pop ha intaccato anche i millennials, permettendo loro di assaporare un passato sconosciuto, o appreso sotto nuove forme. La forza contagiosa di questo genere (dopo una breve fase di assimilazione-base dovuta al vocal in lingua giapponese) sta nell’aver permesso all’ascoltatore di fare alcuni passi indietro rispetto alle rivisitazioni della musica del passato dalla quale i due generi più moderni hanno attinto per i loro re-edit. E passare alcune ore tra musica da pianobar & easy listening giapponese permette di arrivare alle radici di alcuni dei generi oggi ritenuti d’avanguardia.

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Uno degli attuali massimi diffusori del genere, il dj di Chicago Van Paugam ha colto l’essenza del messaggio di fondo e in una recente intervista ha affermato (a ragione) che una volta che si ascoltano gli originali, tornare indietro è quasi impossibile. Un dj nato proprio con il future funk e la vaporwave che per trovare nuove chiavi di lettura e nuovi argomenti al proprio progetto artistico ha guardato al passato senza – tuttavia – fossilizzarsi su un genere in particolare. Del resto il city pop, del quale oggi è possibile stilare una, seppur generica, catalogazione abbraccia i più diversi generi musicali. In particolare il jazz, il funk, soul e disco i cui precursori vengono comunemente indicati in Tomoko Aran, Tatsuro Yamashita, Mariya Takeuchi, Toshiki Kadomatsu e Takako Mamiya.

Il momento di massima espansione del genere va ricercato nei primi anni ottanta con la diffusione di autoradio, la nascita del synth pop e la distribuzione dei sintetizzatori. Ed è proprio in quegli anni che è nato il termine City Pop, riferito alla musica popolare della grande città, Tokyo in particolare. Ma sono anche gli anni dell’esportazione dilagante degli anime, dei robots e dei cartoon giapponesi, che oggi contribuiscono in gran misura al successo del genere, sia perché fenomeni di massa, sia in quanto legati all’immaginario collettivo dell’epoca. Ed in questo senso il termine pop potrebbe non riferirsi solo alla musica, ma anche agli aspetti visivi/fotografici e fumettistici, tanto che si rinvengono tratti in comune con la stessa pop art.

Dopo aver cliccato il primo video, la ricerca spasmodica di fonti messa in atto, ci ha permesso di addentrarci in un concept fatto di iconografia consumistica giapponese e di profonda malinconia che riesce, tuttavia, a rimanere fresca nonostante il tempo e le rivoluzioni musicali degli ultimi 20 anni e dell’era post elettronica (probabilmente non così rivoluzionarie, se paragonate a quelle del secolo scorso).

C’era la City Pop Radio in onda 24 ore su 24, ma attualmente è sparita dalla circolazione ed è rimasto solo il canale Youtube con i preregistrati. Ma puoi consolarti con i mixati di Van Paugam.

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