Avrei tanto voluto pubblicare questa recensione in contemporanea con l’uscita del disco.
Non ce l’ho fatta.
L’entusiasmo per la release di un nuovo lavoro dei miei amati Lantlôs è sfumato dopo il primo ascolto. Ho chiuso il mac, imprecato un po’ e sono andato a riascoltarmi il loro capolavoro: .neon
A mente fredda ho riascoltato il disco trafitto dalle stesse emozioni di quando rileggi i messaggi con i quali la tua amata dice di non amarti più.
.neon mi aveva conquistato per la bravura con cui Markus Siegenhort e soci riuscivano a passare da uno scream denso di rabbia e dolore ai rassegnati e dolci puliti, dai blast beats ai groove swing. Melting Sun questa eterogeneità non l’ha e per questo passare dalla delusione all’obiettività è stato molto difficile, perché obiettivamente questo è un signor album.
Impossibile parlare di questo disco senza metterlo a confronto con Shelter degli amici Alcest, alle analogie sonore si aggiungono infatti le vicende che da sempre legano le band vista l’ex partecipazione al progetto di Neige, cantante degli Alcest. Proprio Melting Sun è il primo disco a cui Neige non ha contribuito dopo esser stato licenziato con una lettera che faceva tipo così:

“Bella zio, abbiamo quasi finito il disco nuovo e tu sei utile come un venditore abusivo di rose alle pizzate con la squadra di calcetto.”

Quindi il buon Neige è uscito col suo disco in gennaio, disco che di black non ha più nulla e che tiene dei vecchi Alcest solo l’amore per gli arpeggioni, e Markus ha fatto un po’ la stessa cosa, cioè ha tenuto ciò che rendeva i Lantlôs diversi dagli altri gruppi della scena post-black metal ed ha tolto quasi tutto ciò che era black.

Chi ha lavorato meglio tra i due? Mah, sicuramente Markus.

Senza scomodare i Sigur Rós e qualche membro a caso degli Slowdive, i tedeschi si sono concentrati su una produzione che, pur presentandosi come un enorme cambiamento di stile, ti lascia in bocca il retrogusto dei vecchi dischi. L’opening Azure Chimes, singolo che ha anticipato l’album, ben riassume e connota il prodotto. Intro “classica” da Lantlôs, esplosione, suoni avvolgenti, poco cantato rigorosamente in pulito e sette minuti di “ti preeendo e ti pooorto via”.
Il resto dell’album spazia dal quasi prog (Jade Fields), alla wave, ai pugni nello stomaco che ti dà il basso, passando per lo shoegaze finendo con le schitarrate post-rock. Tutto talmente ben amalgamato che nemmeno i vezzi da musicista spaccone stonano o fanno sfumare l’atmosfera eterea.
Si perde la cognizione del tempo, dello spazio e alla fine del disco rimane quella sensazione di vuoto che contraddistingue le cose Belle con la B maiuscola. Vi ricordate come vi siete sentiti dopo l’ultima puntata di Breaking Bad? Ecco.
Golden Mind, la traccia più distante dal sentiero percorso dai nostri, fa esageratamente paura; quanto possono spingersi in là musicisti di questo calibro? Dove andranno a parare in futuro?

L’unica cosa che sappiamo è che, se tutti i gruppi cattivissimi che si sono addolciti in questi anni avessero fatto un lavoro al pari dei Lantlôs, ci sarebbero molti meno metallari depressi in giro e molti più dischi belli per gli hipster di larghe vedute.

Tracce consigliate: Jade Fields, Golden Mind