Premessa necessaria: non dovrei parlare di questo disco. Non ne ho le competenze, non ho idea di cosa sia la musica metal se non nel modo più superficiale possibile, conosco poche band metal/screamo ed è per questo che pur di non andare a cercare i dischi simili su Last.fm preferisco lasciare le tre righe in bianco.

Non potevamo evitare, però, di provare a buttare giù due parole su Sunbather dei Deafheaven.
Dal punto di vista di un ascoltatore lontano da certi suoni, questo disco può sembrare stranamente familiare nonostante quella doppia cassa velocissima, le voci urlate e assolutamente incomprensibili e i riff così veloci da rendere indistinguibili i fraseggi di chitarra o di basso. Il motivo, probabilmente, è che Sunbather in alcuni punti suona così sfacciatamente post rock da rimanerci male – dai reverse alla voce radiofonica che accompagna un crescendo strumentale (sembra di tornare indietro a certi dischi enormi dei 65daysofstatic) – in altri invece abbandona la velocità e le urla per lasciarsi trasportare da stranissimi (date le circostanze) fraseggi puliti, vicini, con un po’ di fantasia, agli arpeggi degli Explosions In The Sky, e in tutto questo, qua e là, si sente puzza di shoegaze.
Queste sono le premesse, già molto complicate, per immergerci in un viaggio estremamente emozionale che dura per tutti i sessanta minuti di Sunbather.
Quel che colpisce della band californiana è la carica emotiva che hanno tutti i pezzi: le esplosioni ti stracciano il cuore a metà e si sente, in determinati punti, per esempio nello stacco finale di Dream House, un coinvolgimento passionale totale della band che sputa in faccia un mare di sensazioni da strappare mille brividi lungo la schiena.
Sembra che anche loro avvertano il peso e la carica della loro musica, tanto che tra una bomba e l’altra, alcuni pezzi come Irresistible, Windows e in un certo senso anche Please Remember fungono quasi da cuscinetto, se non altro lasciano il tempo all’ascoltatore di immagazinare il colpo e lo preparano al successivo.
A un certo punto risulta difficile, nonostante i pezzi siano di notevole durata, comprendere le coordinate temporali dell’album; neppure è facile riuscire ad abituarsi, anche dopo molti ascolti, alla botta incommensurabile che alcuni pezzi come Sunbather riescono a darti, senza calare di intensità una sola volta.
Il disco chiude con The Pecan Tree che è un capolavoro senza senso, un enorme fuoco d’artificio rosa così carico di malinconia da grondare sangue, e distruggere, definitivamente, il fortunato ascoltatore di quello che è uno dei dischi più incredibili del 2013.

Recommended tracks: Dream House, Sunbather, The Pecan Tree