Islanda terra di ghiacci, geyser, vulcani, ma soprattutto introspezione e determinati canoni musicali.
Questo è quello che gli annali ci tramandano da sempre, dalle eteree melodie di Björk alla new classical di Ólafur Arnalds, sino al paragone più scontato: i Sigur Rós e quell’Ágætis Byrjun – a cui va aggiunto tutto ciò che seguì, nel caso specifico ( ) – che ha, volenti o nolenti, segnato un pezzo di vita di tutti quanti.
Non è un caso che questo Nepenthe, secondo lavoro di Julianna Barwick, sia stato registrato proprio in Islanda. Tantomeno è una coincidenza che i vocalizzi e le melodie riverberate dell’artista siano giostrate, in cabina di regia, da Alex Somers (compagno di Jónsi nella vita e nel progetto ambient Jónsi & Alex) e che alla voce di Julianna si accostino le Amiina (quartetto d’archi islandese).
Le atmosfere di questo Nepenthe evocano stalattiti, muri di nebbia refrattari e allo stesso tempo carezzevoli, sentimenti dalla distanza siderale ma in un certo qual modo albergati in ognuno di noi, nel profondo.
E che cosa prediligiate in questo disco poco importa, inutile cercare un pezzo “preferito” o qualcosa che assomigli a una “canzone”: qui è tutto un fluire di sentimenti avvolti da una coltre privatissima dell’autrice, ma che vi sorprenderete far vostri con una facilità disarmante.
Sarà difficile non cedere alla tentazione di riascoltare da capo The Harbinger, per rivivere l’epifania del momento in cui uno spiraglio di luce diventa melodia pianistica dall’emotività ultraterrena, ma capirete che ne varrà la pena quando vi lascerete cullare, sorridenti, dalla cantilena stratificata della successiva One Half; altri cori celestiali per Look Into Your Own Mind e poi Pyrrhic, tra archi cameristici e un lavoro sulle voci davvero impressionante, un climax pianistico delicato come una piuma e un potere evocativo senza eguali; e poi ancora gli archi di Adventurer Of The Family e le incursioni rumoristiche di Crystal Lake.
È altresì innegabile che un paio di tracce un po’ si perdano in una sedentarietà stucchevole, si direbbe figlia dell’autocelebrazione delle proprie idee, e che in realtà non aggiungano nulla di nuovo a quanto già detto dai componimenti del disco sopra nominati; vero anche che la differenza ultima è rappresentata dal lavoro certosino di Alex, la mano fatata che dispone impeccabilmente gli elementi strumentali minimali e le infinite partiture vocali di Julianna.
Ma queste non sono altro che pedanterie frutto di un ascolto analitico, il cui fine ultimo è una recensione.
Nepenthe è una delle esperienze sonore più sincere, intime e ascetiche di questo 2013.