Il modus operandi è ormai consolidato. I Godspeed You! Black Emperor pubblicano un album con una campagna di marketing pressoché nulla, limitata al solo annuncio del disco a un mese dalla data di release. Dopo Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything, riuscito lavoro del side-project Thee Silver Mt. Zion dello scorso anno, la geniale mente che risponde al nome di Efrim Menuck ha deciso che ‘Allelujah! Don’t Bend, Ascend del 2012 dovesse avere un seguito. E proprio con questi due lavori il nuovo Asunder, Sweet and Other Distress sembra avere a che fare, prendendo ora le luci del primo, ora le ombre del secondo.

Peasantry Or ‘Light! Inside Of Light!’ apre le danze e sprigiona la luce dentro la luce (e il richiamo a Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything pare quanto mai esplicito). I suoni sono quelli grossi. La batteria scandisce un tempo marziale mentre le chitarre sature regalano giri di accordi imprevedibili, ad ampio respiro; piano piano tutto cresce, ad ogni pennata sempre più. Dopo un breve, classico, break fanno la loro comparsa gli archi, i quali iniziano una danza che li intreccia indissolubilmente alle sei corde; in generale si respirano le atmosfere di speranza e rinnovamento che già avevamo apprezzato in particolare in What We Loved Was Not Enough. Sul finale poi una dolce (si fa per dire, eh) melodia chitarristica, a tratti desert, ci culla fino al contraltare di tanta inaspettata apertura sonora: la successiva Lambs’ Breath. L’agnello, nell’immaginario collettivo sinonimo di innocenza e pace, diviene qui il profeta degli inferi. Dieci lunghissimi minuti di rumore; un drone oscuro, mefitico, che con la sua staticità non lascia vedere alcuna via d’uscita e anzi affossa sempre di più, come in un eterno vorticoso precipitare; l’ascoltatore si trova ben presto a sperare che la visita nei gironi dell’Ade acustico finisca al più presto. Ciò accade, sì, ma solo dopo aver subito tre interminabili minuti di rumore indefinito, monotòno, inutile. L’attesa è snervante e al contempo dolorosa. Siamo ignari di fronte al futuro.
Asunder, Sweet, come da titolo, inizia a riportarci su, ma con molta calma. La grazia non è cosa facile da ottenere, non è calata dall’alto, bisogna guadagnarsela e il percorso è lungo, la risalita è lenta, lentissima. Nello sforzo c’è il dolore, la tensione irrinunciabile, il fiato corto, i polpastrelli sanguinanti, i timpani che reclamano pietà. Non c’è compassione però: i violini si intersecano ancora una volta ai deliranti feedback, dando il colpo di grazia che ha il gusto di una liberazione.
È tempo di gioire, il giorno del giudizio è arrivato ed è incarnato dai quattordici, fantastici, minuti di Piss Crowns Are Trebled. Un sordo colpo di batteria riscuote le nostre membra intorpidite, la salita paradisiaca si prepara a manifestarsi in tutta la sua enfatica ed ineffabile potenza. I riffi si ripetono all’infinito, entrano dentro, sotto pelle, sino all’apertura che richiama alla mente gli istanti iniziali del disco, e che non potranno non far pensare a tanti magri pugni alzati come antenne verso il paradiso. Da qui in poi è tutto un fluire, sempre più su, sempre più su. Un finale aperto ci lascia qui così, a chiederci cosa ci sarà nel nostro futuro, cosa ci sarà nel futuro dei GY!BE.

Asunder, Sweet and Other Distress è un disco dalla durata stranamente contenuta. Quattro tracce per 40 minuti che vivono, pulsano, trasudano verità, vita. All’interno di esso troviamo contraddizioni, luci e ombre, melodia e rumore, salita e discesa a picco, e poi però ancora salita, evidente fine ultimo della razza umana che tanto è cara al gruppo.
Ennesimo grazie ad una band che ci ha dato tanto, e che continuerà a farlo.

Tracce consigliate: Piss Crowns Are Trebled, Peasantry Or ‘Light! Inside Of Light!’Lambs’ Breath.