Piñata è il disco che pomperebbe Avon Barksdale nel suo suv se The Wire venisse girato nel 2014. Dopo tre EP che gli sono valsi un interesse meritato da parte della critica, Freddie Gibbs decide finalmente di debuttare con un lavoro sulla lunga distanza, affiancato da un pezzo da novanta che di nome fa Madlib.

Piñata trasuda ghetto attitude da ogni traccia: è un album diretto, schietto, violento, crudo; è un album pieno di turpiloquio, di storie di droga, di armi, di corners, di bitches e motherfuckers. Freddie riporta in auge il gangsta hiphop delle origini affiancando le sue liriche ai beat impeccabili e mai banali di Madlib.
Le tematiche non sono certo le più originali, ma è il modo di narrarle che fa la differenza. Gibbs è palesemente avulso all’autocelebrazione tipica dell’hiphop mainstream, quello degli sfarzi tutto champagne e diamanti, e si limita a descrivere esperienze, storie di vita vissuta: penna in mano, stanza buia e fumo denso, testa china sul foglio e giù a scrivere rime. Su 17 tracce si fatica a trovare un anello debole, tutto scivola via senza intoppi o cali di tensione grazie anche ai molteplici featuring (tra gli altri spiccano Raekwon, Danny Brown, Earl Sweatshirt, Mac Miller, Domo Genesis, Ab-Soul) e agli intermezzi delle basi, figli della maestria e dell’esperienza di Madlib.
Nella prima metà del disco si susseguono senza sosta alcuna pezzi di traino quali Deeper, Harold’s, Shitsville, Thuggin’, Real, Uno. Basi da hook immediato, flow inarrestabile e chorus da presa istantanea con movimento di testa e braccio annesso. Dopo il giro di boa Freddie si concede respiri più profondi, la potenza cala ma di certo non il livello (su tutte spiccano Robes, Shame, Knicks e gli otto minuti conslusivi della selftitled).

Freddie Gibbs si assume il ruolo di tutore dell’hiphop vero, grezzo, del gangsta, del g-funk o come diavolo volete chiamarlo, ma senza dichiararlo, semplicemente essendo se stesso e cacciando rime a più non posso. Si racconta, mette in mostra ciò che può e lo fa bene. Anche Rick Ross – e con lui tutto il filone di rapper finti gangsta – parla di bitches e motherfuckers e sicuramente venderà molto di più di Gibbs, ma siamo su due pianeti completamente differenti; sì esatto, come la merda e il cioccolato.
È dunque peccato considerare Freddie Gibbs un degno erede dell’hiphop degli esordi (NWA e Dr. Dre, Wu-Tang Clan con RZA e Raekwon, e sì, Tupac)?
Io credo proprio di no.

Tracce consigliate: Shitsville, Harold’s