Rick Ross è una palla. Non solo letteralmente, e a questo aspetto puramente fisico potremmo passare sopra senza battute degne di un bulletto dodicenne come quella che ho appena suggerito. Ma anche e soprattutto dal punto di vista sonoro, che è quello che poi a noi interessa. Rick Ross è una ex guardia carceraria e oggi invece giuoca a fare il gangster. Bricconcello! Anche questo in realtà potremmo dimenticarlo e pensare a quanto è liricamente profondo e tecnico, a quanto questo album apporta qualità alla scena. Forse.

Ma veniamo al sodo: come si presenta questo Mastermind? Onestamente? Come l’ennesima scoattata priva di vero talento, priva di qualsivoglia contenuto rilevante, priva di stile, capace soltanto di cavalcare i cliché più biechi e bassi del genere nonostante l’eccezionale dispiego di forze, sia dal punto di vista dei featuring che da quello dei produttori. Peccato manchi il collante: la qualità.
Non ci credete? Prendete i primi tre brani dell’album. Primo: Rich Is Gangsta ovvero merda al cubo. Nell’ordine: insulti e minacce ai cops, cocaina, gioielli, rapine, erba e per il resto della strofa, dichiarazioni di quanto è ricco fra Rolex, ville, automobili. Mancano solo le classiche puttanone col fondoschiena prominente e siamo a cavallo, ma forse per miracolo in questa singola canzone Rozay ha deciso di risparmiarcele. Il problema è che il giochino si ripete subito con Drug Dealer’s Dream dove recita la parte del narcotrafficante con un’anima profonda e riflessiva. Su Nobody i primi due featuring dell’album, French Montana e Sean Combs con il solito Ross che scimmiotta malamente, e qui in maniera ancora più evidente del solito, il flow di Notorious B.I.G. (su una canzone che campiona un brano di Biggie appunto, tanto per rendere il tutto ancora più fastidioso e ovvio). French Montana al ritornello riesce a risultare sia irritante per la propria impostazione vocale che patetico pur con le poche righe di testo affidategli. Il contributo del fu Puff Daddy, ora moscio Sean Combs è limitato al rappare sull’intro e l’outro.

Altro da segnalare in ordine sparso: l’astio violentissimo che provoca l’ascolto del pacco dancehall Mafia Music III con Sizzla e Mavado, infarcito ovviamente delle solite sirene e dai cattivissimi e non scontati colpi di pistola; l’oscenità R&B di Supreme, prodotta da quello che una volta era uno dei produttori più pagati del business e oggi boh, ovvero Scott Storch; un Jay-Z sempre più bollito e Lil’ Wayne che sarebbe meglio non commentare per pietà cristiana.

Per essere completamente onesti non tutto è da buttare. I beat, pur non essendo cambiati di una virgola dalle precedenti esperienze discografiche del nostro, sono sempre potenti, grassissimi e ricchi pur se cafoni senza limiti e a parte qualche eccezione si lasciano apprezzare spinti al massimo dai subwoofer, The Devil Is a Lie e BLK & WHT su tutte. Anche sotto questo profilo non mancano gli scivoloni come la stereotipata War Cry o altri esempi già citati sopra. Discorso a parte infine meritano due tracce: Sanctified e In Vein. La prima è una traccia quasi stellare: vocals soul, beat asciuttissimo d’ispirazione gospel per la produzione di DJ Mustard e i feat. di Kanye West e Big Sean. La seconda vede la presenza inusuale di The Weeknd: atmosfere rhythm and blues su una base ancora più accennata e minimale, quasi a far intravedere echi di somiglianza con la Runaway  di Kanye, complici le tematiche trattate simili e con un testo a metà tra il perverso e lo sballato.

Purtroppo o per fortuna, due piccole perle, non casualmente lontanissime dallo stile del resto di Mastermind non lo salvano da una stroncatura spietata quanto inevitabile. Se vi venisse la folle idea di ascoltarvi la discografia di Rick Ross, un consiglio: prendete Somebody’s Got to Die di Biggie e in meno di cinque minuti troverete tutto quello che William Leonard Roberts II dice o cerca di dire ma con tanto, tantissimo carisma in più e con un notevole risparmio del vostro tempo.

Traccia consigliata: In Vein