La musica di Emika è un concentrato purissimo di uno stato d’animo che definire angoscia è riduttivo. Non poteva essere altrimenti per una ragazza che se l’è vista brutta nei suoi anni migliori, fuggita dalla piovosa Bristol  per acciuffare un’identità migliore di quella, affibbiatale, di “malaticcia”; fuggita verso quella che si è rivelata essere la Mecca della musica elettronica, Emika si è consacrata proprio a Berlino. A Berlino deve molto, anzi tutto della sua carriera, e forse è per questo che il suo terzo album si intitola proprio Drei. I paragoni si sono sprecati nel tempo, ma Emika è un oggetto neanche troppo misterioso: una voce limpida e un’atmosfera cupa sono i suoi marchi di fabbrica. Emersa negli anni della dubstep (della peggio specie) ha ben visto di distaccarsene fin da subito, andando a sintonizzarsi sulle corde di artisti di ben altro calibro, quali BurialTRSTPJ Harvey e si direbbe anche i The XX.

Drei rappresenta un ritorno alle origini per Emika, lontana dagli esperimenti che sono stati Klavirni DVA. Con il suo ultimo lavoro la producer anglo-ceca ha voluto affrontare le tematiche della libertà, dalla sua perdita alla sua bellezza, fino a quel sentimento di pazzia che accompagna la solitudine ostinata. Frutto di sole due settimane di lavoro, in totale solitudine, Drei si districa in nove tracce accomunate dall’indissolubile filo conduttore dell’atmosfera pesante. L’uso, quasi monotono, del synth permea in gran parte l’atmosfera di cui sopra, come si intuisce fin da Battles; la scansione ritmica è spesso semplice, con pochi espedienti che possano rendere l’album imprevedibile. La voce è l’altro elemento fondante di questa cerimonia lugubre; ma a differenza dei suoi precedenti, la voce è in Drei un canale diretto verso l’ascoltatore, che riesce a trapassare l’atmosfera cupa quasi indisturbato. E nella doppietta Miracles Prelude e Miracles ciò viene fuori in maniera lampante, dalla contrapposizione con una voce maschile che invece ben si adatta a quel groviglio oscuro creato dalla bella bionda. Tutto scorre in maniera liscia, l’album si lascia ascoltare, e scorre veloce tra gli acuti di Serious Trouble e la confusione di Rache chiudendosi tra i tasti del piano tanto amato da Emika con Destiny Killer.

Cosa rimane dopo l’ascolto di Drei? Beh, a dirla tutta, poco. Sì, un piccolo sentimento di malinconia, un vago ronzio di domande senza risposta, ma in fin dei conti Drei non è l’album che vi cambierà la vita. Emika dimostra ancora una volta di essere una brava compositrice, ma non un’ottima interprete, non riuscendo (purtroppo) a varcare quella soglia che la potrebbe consacrare al grande pubblico.

Traccia consigliata: Battles