Parlare di Dumbo Gets Mad come un progetto radicato ad un ipotetica scena psych pop made in Italy mi rabbrividisce un tantino. Termini di paragone in questo contesto si sono esauriti con Elephant At The Door, in cui l’assetto del duo aveva comodamente adagiato le influenze hippie oltreoceano su sfaccettature rock a sfondo cinematografico (da sottolineare il supporto del basso dei Julie’s Haircut oltre che un ingaggio per batteria e percussioni), prendendo sul serio la passione per il groove seppiato del sound di quegli anni.

Di Reggio Emilia e di mediterraneo c’è rimasto solo la netlabel Bad Panda Records che continua a darci grandi soddisfazioni. Sì, perchè da quando si sono stabilmente trasferiti in quel di L.A, la coppia non ha smesso di collezionare margherite e immergersi nell’epoca dell’LSD più caciarona, con lo spettro dei Doors messo da parte in occasione del sophomore Quantum Leap, un sogno lucido in cui è lecito quasi necessario perdere l’orientamento, dati i continui sbalzi d’umore e cambi di scenario che solo due menti contorte possono suggerire.
L’uso di tastierine e strumentazioni a sfondo orientale, uniti all’approccio free jazz dei due rendono afrodisiaco tutto ciò che toccano: si passa dalla balearica fricchettona Before Kiddos Bath al funky sdolcinato di American Day precipitando nel flusso hard rock di Tahiti Hungry Jungle, remaster di due acclamati pezzi di Azealia Banks.

A farci divertire sono bravi. Quantum Leap deve essere una pausa, per la mente, visto che se si cerca di prendere un tantino sul serio il funky pulito di Cougar (grazie anche alla voce di Carlotta), si dimentica che fino a pochi minuti fa si ballava sulle note di una sigla di una qualunque soap opera nipponica (Bam Bam). Nonostante la spensieratezza, i due non smettono mai di sorridere, dichiarando amore per la vita californiana, quasi di risposta a quella texana (Widowspeak), e a quella ancora più east (Beach House).

Se è una questione di simpatia/patriottismo c’è tutto da apprezzare. Ma se si parla di sostanza i due big appena citati parlano completamente un altro linguaggio, più concreto e inserito in una logica da band, cercando (almeno) di velare il sentimento revivalista che li possiede, oltre che apparire vestiti nelle cover.

Siamo comunque obbligati a supportare le nostre fughe di cervelli, soprattutto quelle che riescono a ritagliarsi interessi inaspettati proprio come i Dumbo Gets Mad, che un pò per capacità un pò per fortuna quest’America se la sono meritati.
Si consiglia vinile e grammofono (quello più vintagge che ci sia). E che Woodstock sia con voi.

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